La grotta del serpente

In principio c’era Bora 2000

L’incontro Internazionale di Speleologia “Bora 2000” è stato il momento catalizzante durante il quale una parte degli speleosub triestini si è ritrovata per realizzare una mostra storico - didattica sulla speleosubacquea giuliana. L’idea era partita da Lorenzo Lucia, istruttore subacqueo e socio del Club Alpinistico Triestino, che visitando il sito internet, realizzato da Paolo Zaccaria e denominato “Gruppo Speleonautico Duilio Cobol”, intuisce la possibilità di raccogliere e valorizzare una grande quantità di materiali e documenti storici che testimonino le imprese dei pionieri della speleologia subacquea triestina. Inizia  così  una  serie  di  contatti  con  tutti  i  rappresentanti  di  questa attività che si dimostrano subito interessati a collaborare per la mostra.

Il ritrovo era stato era stato convenuto presso la sede del Club Alpinistico Triestino è lì, per diverse settimane gli speleosub cominciarono il loro lavoro che, in seguito, verrà esposto nella scuola del Villaggio del Pescatore, ospiti del Comune di Duino - Aurisina. L’aver lavorato gomito a gomito per tutto quel tempo ha dato la possibilità, a questo gruppo di persone, prima di conoscersi, poi di frequentarsi e, infine, di ritrovarsi a discutere di progetti comuni che, singolarmente, non avevano la speranza di attuare. Per onore di cronaca, questo primo gruppo era composto (in ordine alfabetico) da: Sandi Bigatton, Duilio Cobol, Maurizio Deschmann, Ernesto Giurgevich, Lorenzo Lucia, Carlo Rossetti, Luciano Russo, Fabio Venchi.

 

L’origine del nome

Nel febbraio del 2001, il gruppo degli speleosub si ritrova nuovamente, nella sede del Club Alpinistico Triestino, per dare vita ad un vecchio sogno di Luciano Russo: continuare le esplorazioni speleosubacquee nella Risorgiva del monte Sart. Si tratta di un obiettivo che richiede un notevole sforzo logistico e finanziario che il gruppo di amici non può permettersi di affrontare. A questo punto, entra in gioco Franco Gherlizza che, coinvolgendo una decina di gruppi speleologici regionali, riesce a mettere insieme un numero sufficiente di speleologi che dovranno garantire l’appoggio logistico della spedizione. Per la parte finanziaria si potrà contare sulla Federazione Speleologica Regionale e su alcuni gruppi che, generosamente, mettono a disposizione dell’iniziativa fondi e materiali. La Risorgiva del monte Sart, reca con sè una curiosa leggenda che, lo stesso Luciano Russo aveva raccolto, dalla viva voce dei resiani, nel lontano 1976. Eccola:

«La cavità è da tempo conosciuta dagli abitanti di Stolvizza con il curioso nome di “Grotta del Serpente”. Chi aveva osato entrarvi (quasi sempre dei cacciatori) raccontava di aver visto una grande caverna con laghi profondi e fiumi insuperabili; nessuno, pertanto, si era mai spinto oltre l’ingresso. Fra gli abitanti della zona correva voce circa la presenza, in questa grotta, di un grosso serpente lungo una ventina di metri e grosso quasi uno, con il corpo coperto di peli e con la testa di gatto. Lo si vedeva, in genere, in prossimità della grotta ma, qualche volta, venne avvistato anche nei pressi del paese. Non risulta che il “serpengatto” abbia mai assalito delle persone, ma che si sia limitato a catturare qualche animale da pascolo. I vecchi raccontavano che da ragazzi sentivano la gente urlare per lo spavento; si trattava, per lo più, di donne terrorizzate alla vista dello strano animale. Dall’inizio del 1900, però, non se ne sentì più parlare e il “serpengatto” rivive solo nei ricordi di gioventù dei pochi anziani del luogo».

Questo importante obiettivo comune, dà anche lo spunto per un “logo” identificativo degli speleosub che da quel giorno si autonominano “serpengatti”. Lino Monaco, dà visibilità al nome fornendo il fantasioso disegno che da quel momento accompagnerà la squadra in tutte le esplorazioni. Parte immediatamente la necessità di “collaudare” la squadra speleosub composta sì da persone di provata esperienza e capacità ma che, sino a quel momento, non avevano avuto l’occasione di lavorare assieme. Si cerca, però, prima dell’esplorazione della Risorgiva del Monte Sart, un obiettivo che permetta di “affiatare” la squadra in previsione della spedizione “Resia 2002” che è stata programmata per l’agosto 2002. La scelta cade sulla Risorgiva presso l’antica segheria, in Slovenia, dove l’avventura ha finalmente inizio. Lasciamo a Duilio Cobol il compito di accompagnarci alla scoperta di questa bella cavità semisommersa.

 

La prima esplorazione congiunta: La Risorgiva presso l’Antica Segheria

Il primo obiettivo, scelto dal gruppo, fa parte di un fenomeno naturale, estremamente affascinante: la Risorgiva presso l'Antica Segheria. Si tratta di una delle fonti d'acqua che alimentano il lago di Circonio, non molto distante dalla più nota Krizna Jama, in Slovenia. Il lago di Circonio viene  alimentato da molti apporti d'acqua, tra cui quello sopracitato, estendendosi con le sue acque per numerosi km² in regime di piena. In regime di magra, invece, si prosciuga quasi completamente: è perciò un sistema legato alle precipitazioni stagionali e alle variazioni climatiche. L'ingresso della risorgiva ha l'aspetto di una normale frattura della roccia, piuttosto modesta, e nessuno immagina che penetrandovi ci si inoltra in un sistema idrico complesso e con vani di notevoli dimensioni. Non sono stati condotti studi per l'accertamento dell'origine delle acque e perciò possiamo formulare, in  merito, soltanto delle ipotesi. In  passato  questa  sorgente, incanalando l'acqua con un sistema semplice e funzionale di vasche multilivello, veniva utilizzata per muovere cinque mulini. Il mulino principale apparteneva ad una falegnameria ed azionava una macchina a moto alternativo utilizzata per tagliare i tronchi d'albero. Gli altri mulini  permettevano il lavoro del tornio di una officina, il moto di un frantoio, di una macina e di una macchina per la spremitura della frutta. Oggi la segheria non è più in attività, ma gli ingranaggi sono ancora potenzialmente funzionanti. Il sifone d'entrata è stato forzato, per la prima volta, negli anni '70 da uno speleosubacqueo tedesco che ha effettuato anche il rilievo della prima parte della cavità. È seguito poi un periodo in cui la risorgiva è stata dimenticata. Solo in tempi recenti le esplorazioni sono riprese, con impegnative spedizioni di coppia o addirittura in solitario, da parte di alcuni sub locali. Viste le obiettive difficoltà pratiche, le uscite in solitario portavano lo speleosub ad una estenuante progressione: era sottoposto a lunghe  permanenze in acqua, di 7 - 8 gradi, con probabile rischio di ipotermia ed arrivando ai limiti delle forze e della sicurezza personale. Secondo noi, invece, bisognava organizzare una squadra numerosa per il trasporto dei sacchi, non meno di quindici, per permettere la prosecuzione "di punta" a due speleosub. Realizzare la documentazione fotografica dell'impresa sportiva ha richiesto un gruppo d'appoggio di oltre quattro persone. Un sacrificio giustificato, visto il particolare valore estetico degli ambienti che s'incontrano.

Il primo sifone, di una decina di metri, inizia con una stretta fessura che tutti guardano un po' dubbiosi ma, appena superato questo punto, l'acqua limpida e l'evidente prosecuzione stemperano il timore del primo impatto. Si approda ad una spiaggetta che consente la completa fuoriuscita dall'acqua. Parte da qui un tratto da percorrere a piedi, risalendo un vero e proprio torrente sotterraneo, fino ad una bassa galleria che costringe ad avanzare in ginocchio facendo un faticoso "passamano" dei sacchi. Ad un certo punto si presenta una breve strettoia subacquea (superabile anche in apnea se non costringesse a mollare il fiato): questo è il punto più critico, perché mette in apprensione i più corpulenti e disorienta i meno smaliziati. Va ricordato che qui la visibilità è nulla. Superato questo "calvario" il premio estetico è notevole: abbiamo davanti una sala piuttosto grande con un susseguirsi di laghi poco profondi. L'acqua appare nera come l'inchiostro ma, come riceve la pennellata della luce dei fari, si colora di tutte le sfumature di verde e turchese. Chi ha faticato fin qui, per trasportare delle luci ingombranti, viene  ampiamente ripagato degli sforzi sostenuti potendo apprezzare pienamente questo spettacolo della natura. Da questo punto, l'esplorazione viene agevolata da vani piuttosto ampi che permettono una veloce progressione. L'ultimo ostacolo è rappresentato da una cascata, per la verità non molto alta, ma da affrontare con estrema cautela. Una caduta qui sarebbe veramente grave per il malcapitato. Abbiamo attrezzato un traverso, seguendo una cengia, e la fantasia di Ernesto ha realizzato una elaborata teleferica per il trasporto dei materiali più pesanti. Da qui si prosegue solo in immersione scendendo a – 30 e risalendo progressivamente alla superficie dopo 120 metri. Si susseguono una serie di gallerie allagate intervallate da laghi percorribili tutti in acqua. Per lo speleosubacqueo si tratta, comunque, di un antipatico yo-yo, che non è poi così salutare. Sono stati esplorati quasi 1200 metri dall'ingresso e il superamento del sesto sifone non ha ancora dato la presunta prosecuzione "asciutta" ... ma, l'esplorazione, continua...

 

Nel frattempo...

Il progetto “Resia 2002” va avanti con grande soddisfazione degli organizzatori. Nell’estate del 2001, Gherlizza decide di effettuare alcuni sopralluoghi esplorativi che serviranno, dapprima, a ritrovare la cavità e segnalare, in modo evidente, il tracciato che conduce all’ingresso; poi, a verificare le condizioni sia del canalone (nel quale si apre la grotta) sia la possibilità di attrezzare un campo base “avanzato” e l’eventuale piazzola per l’atterraggio dell’elicottero. Altri sopralluoghi sono portati all’interno della risorgiva per verificare le potenzialità esplorative della grotta a 25 anni dalla sua “scoperta”.

Il  tutto, avvalendosi dell’impiego di un elicottero per il trasporto dei tecnici e del materiale necessario fino alla zona di operazioni. In poco tempo venne allestita la teleferica dalla piazzola dell’elicottero al canalone; armati, con corde fisse, le gallerie e il grande pozzo interno; e predisposto il perimetro del futuro campo base. Nelle stesse giornate, gli speleosub riescono ad effettuare una prima ricognizione in acqua per prendere nota degli eventuali cambiamenti fisici avvenuti, nelle gallerie sommerse, in questi ultimi cinque lustri.

 

La spedizione speleosubacquea “Resia 2002”

L’appuntamento è fissato a Stolvizza di Resia. Arrivano in molti, più del previsto; ma non è un male, anzi. Si forma una colonna di automobili e ci si sposta in uno spiazzo, messoci a disposizione dal Corpo Forestale di Resia, dove si preparano i colli e attendiamo l’arrivo dell’elicottero. Scriverà, Mauro Campini, nell’articolo inviato ad una rivista subacquea: “In quella prima settimana di agosto in un prato fuori dal paese ci guardiamo fra di noi; non tutti si conoscono in quanto soci di gruppi diversi ma tanto numerosi da rimanere sorpresi. Non siamo più abituati a lavorare in tanti per un unico obiettivo; questo poteva accadere molti anni fa prima che lo spirito di gruppo venisse distrutto dalla mancanza di comunicazione che la nostra società ci ha lentamente tolto senza che quasi ce ne rendessimo conto”. Per raggiungere il primo lago-sifone, bisogna percorrere oltre 600 metri di gallerie fossili e poi risalire un pozzo da 50 metri. Qui, in un ambiente piuttosto stretto e scomodo, si trova lo specchio d’acqua che costituisce l’inizio dell’avventura. 

Il primo obiettivo degli speleosub è il secondo sifone, il cui ingresso si trova nel lago già individuato nel corso della prima esplorazione. La prima punta è composta da Luciano Russo e Gianfranco Manià, accompagnati, oltre il primo sifone, da Duilio Cobol e Enrico Zuin che hanno il compito di aiutarli nel trasporto delle attrezzature subacquee lungo il tratto aereo e agire in caso di emergenza: attenderanno gli esploratori all’ingresso del secondo sifone. Altri due, Mauro Campini ed Ernesto Giurgevich, si posizionano, attrezzati per l’immersione, all’ingresso del primo sifone pronti ad intervenire in caso di emergenza; mentre Lorenzo Lucia ha l’incarico di realizzare la documentazione fotografica lungo il primo sifone e all’ingresso del secondo. I quattro speleosub si immergono con bibo separato 10+10, configurazione posteriore, a cui, i due della punta esplorativa aggiungono un ulteriore da 5 litri, che useranno per l’attraversamento del primo sifone, consentendo così di affrontare il secondo con le bombole da dieci litri completamente cariche. I sub di supporto partono e stendono la sagola guida per essere poi seguiti da Russo e Manià. Il primo sifone ha una lunghezza di una ottantina di metri, con una profondità massima di 15; le pareti sono levigate e solo in alcuni tratti si presentano rotte e fratturate. Massi di crollo giacciono sul fondo. L’acqua non è particolarmente limpida, ma la visibilità è comunque buona. Terminato il trasporto delle attrezzature e la nuova vestizione, la squadra di punta inizia l’esplorazione del secondo sifone. Il lago d’ingresso è largo un paio di metri e lungo una decina. Sopra, si apre una spaccatura che non permette di vedere la sommità. Dopo circa 120 metri di immersione gli speleosub emergono in un lago che risalgono in controcorrente. Le pareti si restringono e rendono impossibile la prosecuzione. Passate sei ore, i quattro speleosub riemergono nel lago iniziale del primo sifone. Così ricorda l’esplorazione Luciano Russo:

“Dopo ore di meticolosa preparazione, finalmente, si va: le lampade da 50 watt spezzano l’oscurità di questo mondo senza sole, appaiono le pareti sommerse della tana del Serpengatto. Solo il sibilo dei nostri erogatori ci accompagna attraverso il primo sifone. Al di là, senza più l’aiuto dei compagni, ostacolati nei movimenti dalle mute stagne, procediamo nei meandri sconosciuti, fissando nel tempo limitato a nostra disposizio-ne, più particolari possibili. Un secondo lago si presenta oscuro e misterioso; affrontiamo in due questa galleria di grandi dimensioni. Percorsi 120 metri di sifone sbocchiamo in un lago lungo 100 metri. Altri rami si dipartono in direzioni diverse, esploriamo circa 800 metri di nuovi rami. La stanchezza si fa sentire in considerazione del fatto che la temperatura, in acqua, è di tre gradi; l’organismo consuma molto per riscaldarsi”.

Le esplorazioni proseguono, nei giorni successivi, con la medesima dinamica: da 2 a 4 individui in esplorazione e 2 di supporto all’esterno del sifone. Vengono esplorate le parti aeree tra i due sifoni, in parte già percorse venti anni prima, e se ne traccia un rilievo. Da una nicchia vicino al lago di ingresso del secondo sifone parte una galleria a spirale, che si avvita verso l’uscita del primo sifone, congiungendosi ad esso con una finestra che guarda dall’alto il laghetto terminale. L’ultima punta esplorativa è condotta da Mauro Campini e Duilio Cobol. Duilio attraversa il primo sifone con il classico bibo 10+10, Mauro con 5+5 per avere, dall’altra  parte, una attrezzatura leggera in caso di necessità di trasporto verso nuovi sifoni. Gli speleosubacquei percorrono una galleria asciutta denominata “schena de mus” (“schiena d’asino”) che trae origine di fronte al laghetto terminale del primo sifone. Questa è una rampa che conduce ad un pozzo di 15 metri, a cui si accede superando la caratteristica schiena d’asino. La volta della rampa è concrezionata da stupende stalattiti bianche, variamente cesellate. Dal pozzo si passa ad un lago che, dopo una decina di metri, si restringe in una galleria dal fondo argilloso, battezzato “ramo Giorgio Cobol”, pioniere della  peleosubacquea triestina e padre di Duilio. Una finestra sopra una spaccatura segna la fine della galleria ma rivela pochi metri più in basso un lago di acqua azzurra, cristallina che costituirà uno degli obiettivi per le prossime esplorazioni. Si continua quindi lungo una galleria che si apre sulla parete sovrastante il lago iniziale del secondo sifone. Dopo un tratto iniziale labirintico si dipartono due cunicoli. Quello di destra è stretto, con le pareti erose dall’acqua in affilate lame. Viene percorso da Duilio per un centinaio di metri ma le tempistiche dell’esplorazione post - sifone non permettono di svelarne la prosecuzione. Il ramo di sinistra presenta nel primo tratto, la stessa morfologia del precedente per poi allargarsi in una galleria il cui fondo argilloso lascia pian piano il posto all’acqua e rende necessario l’utilizzo delle bombole. Trasportato il bibo 5+5, zavorra e altro materiale, fino all’ingresso del sifone, viene preparata l’attrezzatura. Gli spazi angusti e la presenza di argilla rendono preferibile non indossare le pinne. Fissato il rocchetto Mauro inizia l’esplorazione di questo nuovo sifone che viene battezzato sifone Maya. A causa dell’argilla in sospensione, la visibilità è nulla ma, a tastoni, si riesce a trovare la prosecuzione. Pochi metri sotto la superficie, improvvisamente, un’acqua perfettamente trasparente rivela un pozzo verticale, contorto, le cui pareti sono corrose in candide lame di roccia. Sul fondo, un tappeto di bianchi ciottoli levigati dalla corrente conduce lo sguardo all’ingresso di una galleria, di cui le luci, diffondendo nell’acqua cristallina, non riescono a illuminare il termine. L’autonomia delle bombole a disposizione, considerando anche il rientro lungo il primo sifone, non permette di andare oltre. Ritorneremo.

Nuove esplorazioni, ma non solo

Dopo l’esperienza di Resia, il gruppo dei “Serpengatti” (in attesa che si ritorni nel cuore del monte Sart) ha dato vita ad un insieme di progetti che, per la validità degli obiettivi e per l’interesse che hanno suscitato anche presso gli enti e le amministrazioni coinvolte, stanno già dando ottimi risultati, sia dal punto di vista esplorativo che da quello, più umano, dell’aggregazione sociale. Un aspetto molto importante, di cui si deve tener conto, è anche quello legato alla didattica e all’informazione. Successivamente a Resia, il gruppo ha esposto, per conto della Federazione Speleologica Triestina, la mostra di Bora 2000, riveduta, ampliata e corretta, al Museo Nazionale della Subacquea a Marina di Ravenna. Per commentare il successo della mostra, è sufficiente ricordare che, invece di sei mesi (come concordato), è rimasta a disposizione del pubblico per un intero anno. Va inoltre ricordato che la documentazione fotografica della mostra suddetta è stata presentata anche a Brasilia durante il 13° Congresso Internazionale di Speleologia denominato “Speleobrazil 2001”. Il webmaster Paolo Zaccaria ha realizzato, nel frattempo, una “cartografia informatizzata delle grotte del Carso triestino”.

 

Il Progetto Aganis

La grotta, che si trova a Prestento (Comune di Torreano), è conosciuta con il nome di Foran des Aganis. Consta, essenzialmente di un corridoio abbastanza uniforme, lungo 160 metri, e percorso da un ruscelletto che ha origine nella parte più fonda della galleria. Il primo tratto, alto 5 - 6 metri, si può percorrere all’asciutto, mentre, verso la metà, dopo un allargamento, bisogna proseguire nell’acqua che, in qualche punto, tocca anche la volta. Giunti sull’ultimo lago, la normale esplorazione si ferma davanti ad un sifone dal quale, invece, parte il “Progetto Aganis”. Questa iniziativa è il frutto della collaborazione tra il Club Alpinistico Triestino, il Gruppo Speleologico Monfalconese “Amici del Fante” e il Forum Julii Speleo di Cividale che si sono presi, rispettivamente, l’onere di effettuare le esplorazioni speleosubacquee, lo studio geologico e l’organizzazione logistica.

Questa fortunata coo-partecipazione al progetto ha permesso di portare dei risultati di grande interesse scientifico ed esplorativo. Restando, però, soltanto nella sfera delle esplorazioni speleosubacquee, i “Serpengatti” hanno superato il sifone iniziale e hanno percorso, sino ad oggi, ben 800 metri di nuove gallerie, risalendo tre piccole cascate e fermandosi, per il momento, alla base di una quarta molto alta. Numerosi laghi e laghetti si estendono lungo il nuovo tratto mentre restano ancora da esplorare ulteriori arrivi d’acqua e diverse gallerie laterali. Le prossime uscite, anche se preme di continuare nelle esplorazioni, saranno dedicate al rilievo topografico e alla documentazione video - fotografica di queste nuove diramazioni sotterranee. Al termine delle esplorazioni e delle ricerche scientifiche le tre società speleologiche presenteranno, a Torreano, i risultati della loro attività attraverso una mostra che comprenda tutti gli aspetti riscontrati nel “Progetto Aganis”. Oltre all’esplorazione speleosubacquea, verrà dato spazio alla geologia, alla biologia, alla speleobotanica, alla documentazione storica e a quella tecnico - esplorativa; non potrà mancare, visto il soggetto “Aganis”, una sezione che tratti le leggende.

Le sorgenti dell’Isonzo

In seguito ai violenti nubifragi abbattutisi sulle Alpi Giulie nell’agosto scorso, si è aperto un grosso collettore alle sorgenti dell’Isonzo. Vista la possibilità di accedere direttamente all’acqua sorgiva, è stata effettuata un’immersione al fine di valutare le condizioni interne della sorgente. Luciano Russo, con l’appoggio di Duilio Cobol e con l’assistenza di altri quattro tecnici è potuto entrare nella cavità e percorrere, seppur per breve tratto, le zone allagate. Purtroppo l’instabilità dell’intera struttura rocciosa non ha permesso allo speleosub né di scendere in profondità oltre i 15 metri, né di percorrere più di una trentina di metri di sviluppo. Ovunque un caos di massi in equilibrio precario e grosse frane incombenti hanno segnato la fine delle esplorazioni. È stato comunque riportato uno spaccato della grotta speditivo e sono state scattate alcune foto per l’archivio sociale. Visto come si presenta la grotta, l’unica cosa che riteniamo degno di nota è avvisare, i futuri esploratori, che probabilmente avranno la possibilità di nuotare in un ambiente sempre diverso, in un luogo non solo bellissimo (dal punto di vista naturalistico) che ha la capacità di modificarsi a seconda dei capricci dell’acqua e degli eventi sismici.

Il Progetto Kropa

La risorgiva Kropa, si trova in Slovenia, nel Comune di Stara Fuzina, nelle vicinanze del rifugio alpino “Na Vojah”. L’impegno logistico da produrre per la buona riuscita del progetto richiede soprattutto una buona conoscenza del territorio e una immediata comprensione tra gli esploratori e le genti del luogo. A questo proposito, l’organizzazione può contare sull’appoggio logistico del PLK (Gruppo Sommozzatori di Koper/Capodistria). Il “Progetto Kropa” è stato sottoposto all’attenzione della Direzione del Parco del Triglav che, in un incontro personale con il responsabile organizzativo, ha appoggiato l’iniziativa anche per quanto riguarda le eventuali procedure burocratiche, che potrebbero riguardare permessi e autorizzazioni, necessarie per un corretto avvio delle esplorazioni speleosubacquee. Il programma esplorativo è stato approvato anche dai gruppi speleologici che compongono la Federazione Speleologica Slovena e, come concordato, l’organizzazione e la conduzione dell’iniziativa, verrà attuata nel pieno rispetto del Codice Etico UIS (Unione Internazionale di Speleologia) per l’Esplorazione Scientifica e Speleologica in Paesi Stranieri. Al Progetto Kropa (che è stato presentato dal Gruppo Grotte del Club Alpinistico Triestino) è stata riconosciuta una valenza di interesse internazionale e, il 16 luglio 2003, gli è stato concesso il patrocinio dell’UIS (Union International de Spéléologie). Il primo sopralluogo ha confermato le potenzialità esporative del sito: vaste gallerie sommerse si snodano all’interno del monte percorrendo ambienti di grande suggestione. Sono stati percorsi, attualmente, oltre 200 metri di una singola galleria che porta ad una profondità massima di 70 metri. Nel punto massimo raggiunto, una finestra, di dimensioni ridotte, lascia intravvedere dall’altra parte degli ambienti molto vasti che saranno raggiungibili dopo l’allargamento della strettoia sopracitata. Lungo tutto il percorso, sono state individuate alcune gallerie di dimensioni più piccole dalle quali giungono, comunque, arrivi d’acqua corrente. Anche in questa risorgiva le esplorazioni verranno riprese entro l’anno.

 

Un futuro da pianificare

I “Serpengatti” hanno in progetto molte altre iniziative, sia di carattere esplorativo che didattico. La forza di un insieme di persone che lavora per degli obiettivi comuni è, giocoforza, vincente e, questo, loro lo sanno. Proprio per questo motivo mettono davanti a tutto l’amicizia. Nella loro attività non ci sono protagonismi; le esplorazioni vengono scelte, discusse e portate a compimento con armonia, con spirito democratico e con la consapevolezza che ogni azione è stata prevista e pianificata per il buon esito finale che deve essere una “vittoria” per tutti, indipendentemente dal compito assegnato. Questa è la filosofia che loro trasmettono agli allievi, nei corsi che vengono tenuti presso la sede del Club Alpinistico Triestino. Un modo di essere e di fare che, con i tempi che corrono, si potrebbe trovare solo all’interno di una fiaba o di una leggenda, come il loro nome.

 

Chi sono?

In ordine alfabetico, e in dettaglio, vediamo di chi abbiamo parlato sinora:

Mauro Campini - Mantova

- Istruttore di immersioni sportive

- Istruttore Trainer della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Istruttore di immersione tecnica con miscele nitrox e trimix (TSA)

 

Duilio Cobol - Trieste

- Istruttore del Comitato Tecnico della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Subacqueo abilitato all’uso di miscele

- Istruttore di Speleologia della Società Speleologica Italiana

 

Ernesto Giurgevich - Trieste

- Istruttore del Comitato Tecnico della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Speleosub del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico

- Subacqueo abilitato all’uso di miscele

 

Lorenzo Lucia - Trieste

- Istruttore subacqueo di varie didattiche e federazioni sportive

- Istruttore Trainer della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Istruttore di immersione tecnica con miscele nitrox e trimix (TSA)

- Fotografo subacqueo

- Istruttore di Tecnica Speleologica della Società Speleologica Italiana

 

Gianfranco Manià - S. Canzian d’Isonzo (Gorizia)

- Istruttore del Comitato Tecnico della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Subacqueo abilitato all’uso di miscele

- Istruttore di Speleologia della Società Speleologica Italiana

 

Luciano Russo - Trieste

- Sommozzatore professionista

- Istruttore subacqueo di varie didattiche e federazioni sportive

- Istruttore del Comitato Tecnico della Scuola di Speleologia Subacquea della Trimix Scuba Association

- Speleosub del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico

- Subacqueo abilitato all’uso di miscele

 

Enrico Zuin - Mestre (Venezia)

- Speleologo subacqueo

- Alpinista rocciatore

 

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