Il valoncello dell'imperiale e regio 96° reggimento

INTRODUZIONE

Le opere ipogee militari descritte nel presente lavoro - dieci caverne ad uno o più accessi - sono state realizzate dagli austro-ungarici nel corso della prima guerra mondiale combattutasi sul fronte italiano dal 1915 al 1918. Si trovano nell’ambito territoriale carsicodel comune di Doberdò del Lago, in provincia di Gorizia, sul fianco occidentale del cosiddetto Vallone di Gorizia percorso dalla S.S. n. 55 dell’Isonzo. Si raggiungono facilmente, lasciando la detta statale al bivio di Devetachi e seguendo la comunale per l’altipiano di Doberdò fino al punto in cui, descrivendo una curva a gomito, valica un valloncello che si avvalla verso Visintini. Lo si imbocca, a destra, e  lungo una traccia di strada in lieve salita si raggiunge in pochi  minuti la meta. Le caverne in esame, in parte non compiutamente realizzate, non furono mai investite dalle azioni delle fanterie. Si trovano infatti al margine orientale di quell’altipiano, a circa due chilometri dalle linee del Monte S. Michele dalle quali, la notte sul 10 agosto 1916 - perduta il giorno prima Gorizia - gli austro-ungarici, con improvvisa e ordinata ritirata, si portarono oltre  il  Vallone.

CAVERNE  DI GUERRA

L’articolato complesso di caverne - ricovero nel valloncello valicato dalla strada che da Devetachi, nel Vallone, mette per Marcottini a Doberdò del Lago è opera significativa della sistemazione difensiva eretta dall’armata austro-ungarica su quel tristemente famoso altipiano (Fig. 1): un’opera atta ad animare interessi di  storia  dimenticata anche perché un’iscrizione, incisavi all’epoca a memoria dell’imperiale e regio 96° reggimento fanteria, richiama con  quel numero il vasto dismesso cimitero militare di Visintini, là dove un superstite isolato e ben visibile monumento funerario si distingue per l’recita:

“DEN GEFALLENEN /  HELDEN /  DES  K.u.K. I.R. N.° 96/ EHRE  IHREM ANDENKEN!”

“PALIM JUNACIMA /  C.I. K.R. 96  PJEŠ. PUK /  VIECNA SLAVA!”

(“Agli eroi caduti dell’i. e  r. reggimento di fanteria n. 96. Gloria al loro ricordo!”  - In croato: “...Gloria  eterna!”).

Offrono un  contributo di conoscenza sulle opere di fortificazione del  terreno in genere e le caverne artificiali in particolare, gli studi del generale austriaco ingegnere Brunner richiamati dal ten. colonnello del genio Giovanni Ferreri e quelli di quest’ultimo pubblicati dalla “Rivista di Artiglieria e Genio” degli anni Venti del secolo decorso, nonché le disamine in materia apparse in quegli stessi anni sulla rivista “Esercito e Nazione”; e per quanto concerne le caverne costruite dagli austro-ungarici lungo il Vallone, il “reportage” del corrispondente di guerra del periodico “L’Illustration”, Vaucher, da Oppacchiasella il 21 agosto del 1916, e il  “Diario di un  fante” di Luigi Gasparotto sotto la data del 5 giugno del  ‘17. Scrive il Ferreri, facendo un resoconto di quanto pubblicato dal Brunner:

“La costruzione delle caverne nel Carso era influenzata dalle speciali condizioni del terreno: la roccia meno compatta e alla superficie più o meno degradata dagli agenti atmosferici; venature anche a notevole profondità; condizioni geologiche del suolo  fortemente mutevoli, spesso in breve spazio con ripercussioni dannose. Donde la necessità, in genere, del rivestimento interno da farsi, nel caso più favorevole, a lavoro compiuto, mentre, in terreno poco solido, scavo e rivestimento dovevano procedere, di pari passo, coi sistemi usati nella costruzione delle gallerie. Lo strato esterno o cappellaccio delle caverne è in genere tenero o di roccia  sfaldata. Gli ingressi a discesa della caverne chiedevano speciali provvedimenti antigas e per impedire l’accesso della acque esterne e lo scolo di quelle di infiltrazione. Le due entrate presentavano uno svasamento che aveva per  iscopo di attenuare gli effetti della commozione d’aria, dovuta a proietti carichi di potenti esplosivi che eventualmente scoppiassero presso le entrate”. E leggiamo su “Esercito e Nazione” relativamente alle esperienze italiane: “Le mine che squarciano la roccia si susseguivano quasi incessantemente; ma, ad ognuna di esse, poca roccia cadeva, ed il duro e paziente lavoro del minatore riprendeva col ritmico picchettio della mazzetta d’acciaio sulla testa dell’utensile, che penetrava nella roccia per praticarvi un nuovo foro da mina. Ma quell’utensile, sotto i colpi ripetuti della mazza vibrata da potenti muscoli, penetrava nella roccia con una lentezza esasperante: dopo un’ora di lavoro il foro praticato non raggiungeva la profondità di 40 centimetri ed almeno un’altra ora era necessaria perché esso raggiungesse la profondità voluta. Solo allora esso poteva essere caricato mediante esplosivo ed in seguito fatto esplodere, determinando così la rottura della roccia. Del tempo occorrente per lo scavo in roccia con tale sistema, la maggior parte veniva assorbito dal lavoro di preparazione dei  fori; occorreva quindi ricercare qualche congegno meccanico a sussidio delle braccia del minatore... L’industria era già ricorsa ai mezzi di perforazione meccanica da molto tempo, ma, nell’esercito, di tali mezzi al principio della guerra, non ne esistevano che rari esemplari. Verificatasi la necessità di eseguire, con la maggiore celerità possibile, ingenti lavori di scavo in roccia, l’esercito fu spinto a provvedersi rapidamente degli adeguati mezzi di lavoro e le perforatrici ebbero una diffusione grandissima; non c’era tratto del nostro fronte ove i motori a scoppio azionanti i perforatori non facessero sentire il loro rabbioso e incessante rombo...”; e  “se per scavare 1 metro cubo di roccia durissima con una coppia di minatori a mano, occorrono circa 30 ore  (lavoro in galleria a sezione ristretta), con un martello perforatore, occorrono da 4 a 5 ore. Se la roccia è meno dura, il rapporto aumenta, così in calcari mediamente compatti tale rapporto si riduce ad 1/4 ed anche ad 1/3 per giungere ad un valore massimo di 1/2 nelle rocce tenere e schistose”.

Per  quanto riguarda lo stato e l’aspetto di quelle caverne del Vallone, che il ripiegamento austriaco seguito nell’agosto del ‘16 alla perdita della testa di ponte di Gorizia, illuminano, come detto, le citate testimonianze del Vaucher e del Gasparotto. Scrive il primo: “Le long du Vallone, chaque régiment avait sa caverne numérotée. Les chambres d’officiers étaient tres luxueuses: lits, chaises, canapés, tables, tapis, rien n’y manquait. Dans un petit bouquet, les officiers s’étaient fait construire un ravissant chalet, très romantique, avec une bibliothèque, un fumoir et un salon de réception. Les journaux qu’on y retrouve datent du 3 août et rapportent les déclarations de Tisza  (primo ministro  ungherese n.d.a.), assurant que l’état major autrichien avait pris toutes les mésures nécessaires pour empecher que  jamais les Italiens n’arrivent à Gorizia. Un numéro du  “Budapest - Hirlap” du  2 août, parle d’un raid fantastique accompli par les aviateurs hongrois audessus de Milan...".

Descrizione, quella del francese, da ascriversi forse al prevalente intendimento di evidenziare una sconveniente vecchia consuetudine dell’alta ufficialità nemica, specialmente ungherese. E annota il secondo: “Tutte le caverne austriache sono foderate di legno, divise a ripiani come piccole case, con scalette di accesso ... talune sono arredate con cura, provviste di impianti di illuminazione e di ventilazione e bombole di ossigeno per render l’aria più lieve. Frammiste alle bombe, alle spolette, ai razzi, ai tubi di esplosivi, ai lucidi nastri di mitragliatrici, vi sono bottiglie d’acqua minerale, e poi, sotto a tutto, sempre qualche salma, che col suo odore reclama la pace di una  sepoltura...”. Va comunque registrato che anche a valle di Comarie, presso Jamiano (oggi Iamiano), una caverna già sede di un alto comando ungherese venne ritrovata nel 1919 ancora ben fornita di ricche suppellettili, tra le quali tappeti e poltrone.

CENNI  STORICI  SUL  K.u.K.  INFANTERIE  REGIMENT  N° 96

Reggimento dell’esercito comune (kaiserlich und königlich - imperiale e regio) che reclutava nelle due parti dell’Austria-Ungheria e il cui distretto di reclutamento era quello di Karlstadt/Carlstadt, terra della Corona d’Ungheria (l’odierna  Karlovac, nella repubblica di Croazia), il 96° fanteria, fondato nel 1883, era formato al 100% da croati. Composto nel 1915 da tre battaglioni, aveva un organico di 82 ufficiali, 3320 uomini di truppa, 232 quadrupedi e 44 carri; e ne era proprietario, a titolo d’onore, Ferdinando I, re di Romania. Trasferito sul fronte italiano da quello russo, dove non diede prova della sua forza potenziale, fu particolarmente impegnato, e frequentemente citato per il suo valore e la tenacia, nel contrastare le offensive che sarebbero state ricordate come seconda, settima e undicesima battaglia dell’Isonzo, e nella Strafexpedition - la spedizione “punitiva” che avrebbe dovuto eliminare la “fedigrafa” Italia dal conflitto - sferrata sul fronte trentino tra la quinta e la sesta delle predette battaglie.

Nella seconda battaglia, combattuta dal 18 luglio al 4 agosto 1915 ed accanitasi specialmente attorno al Monte San Michele - uno dei pilastri della sistemazione difensiva austro-ungarica dominante dal Carso le pianure e l’accesso alla valle del Vipacco - subì gravissime perdite sotto il fuoco dell’artiglieria italiana in attesa di assaltare le posizioni perdute ad est di Sdraussina (oggi Poggio Terza Armata); e quindi nell’azione che portò alla prima momentanea occupazione di quel tragico monte, dopo furiosa lotta spesso corpo a corpo.

Nella Strafexpedition, detta anche “battaglia degli altipiani” e condotta nel maggio - giugno 1916, partecipò ai violentissimi combattimenti che portarono alla conquista della linea Costesin - Marcai alla testata della Val d’Assa, a nord ovest di Asiago, soggiacendo ancora a pesanti perdite. Nella settima battaglia dell’Isonzo (14 - 16  settembre 1916) - prima delle tre cosiddette “spallate” di quell’autunno che ebbero obiettivo strategico ristretto e breve durata - tornò sul Carso, dove dopo la perdita della testa di ponte di Gorizia e dell’altipiano di Doberdò la sistemazione difensiva austroungarica si articolava ad oriente del Vallone di Gorizia: da S. Grado di Merna a un chilometro circa ad  ovest di Lokvica (Loquizza), ad est di Opatje Selo (Oppacchiasella), per Nova Vas (Nuova Villa) e le pendici occidentali delle quote 208 nord e 208 sud, quest’ultima dominante la bocca meridionale del Vallone; e da quelle, per la quota 144 presso Jamiano (l’odierna  Arupacupa) e la Cima 121 di Pietrarossa, alle paludi del Lisert a sud est di Monfalcone. E furono quelle posizioni tra Lokvica e Nova Vas che videro il 96° distinguersi ancora per tenacia e valore. Nell’undicesima battaglia (17 agosto - 15 settembre 1917) che portò alla conquista dell’altipiano della Bainsizza (Banjska planota) e del  Monte Santo, fallendo  tra l’altro sul Monte S. Gabriele e sui colli ad est di Gorizia, il reggimento fu tra quelli cui riuscì la riconquista delle posizioni tra il bosco di Panovizza (Panowitz) e il Monte S. Marco. Karlstadt (Carlstadt) - Karlovac, la città della fortezza costruita nel 1579 che ebbe un ruolo importante nell’arginare il pericolo ottomano, richiama nel nome anche lontane e mal note vicende militari dell’Italia preunitaria. Nell’ampia gamma dei fondi archivistici conservati all’archivio di guerra di Vienna, dall’inventario “croatica” si rileva tra l’altro: “1734 giugno n. 75. Ordini a truppe di stanza nei generalati di Varazdin e di Carlstadt, di recarsi a Fiume e a Trieste per spedizioni belliche nel Regno di Napoli e in Lombardia”. Correva la guerra di successione polacca (1733 - 1738) che vide gli imperiali battuti dai franco - piemontesi a Parma e Guastalla nel 1734 e dagli spagnoli a Bitonto nel 1735.

LE  RICERCHE   SUL  CAMPO

Il complesso di ricoveri ipogei del “Valloncello dell’imperiale e regio 96° reggimento fanteria” (sito che da parte italiana si denominò “Valloncello di quota 65”) si presenta articolato in due distinti gruppi di costruzioni sotterranee. Il  primo, quello  più a valle e raggiungibile per una traccia di strada parallela al piccolo solco vallivo, costituito da due caverne: una, a forma di “U”, con doppio ingresso (VU 1, pag. 299);  l’altra identificabili in una breve galleria (VU 2, pag. 300). All’esterno dei detti due ricoveri sotterranei, alcuni manufatti in cemento si impongono all’attenzione per le loro caratteristiche: un tratto di trincea dal fondo cementato e al bordo di sostegno delle tavole di legno che formavano il piano di calpestio che prometteva di realizzare il sottostante incanalamento dell’acqua piovana; e collegata alla trincea, una scalinata che consente l’agevole superamento del dislivello naturale di pochi metri (Foto 1). Poi, oltre la scalinata, i ruderi di una costruzione in cemento rimangono come unica testimonianza delle molte, specie in tutto o in parte di legno, che il valloncello annoverava all’aperto e che inequivocabili “segni” richiamano sui lati scoscesi del medesimo. Il secondo gruppo di costruzioni sotterranee lungo il valloncello - ad una cinquantina di metri dal primo - consta di otto caverne ricovero, sette delle quali, come le precedentemente menzionate, si aprono sul lato occidentale (Foto 2).

E attesta, con le felicemente conservate iscrizioni d’epoca incise sull’ingresso di una di quelle opere, la certa presenza - tra gli austro-ungarici che vi si accamparono - dei fanti del 96° reggimento (Foto 3 e 4). L’ottava delle caverne è invece italiana (VU 10, pag. 298 - Foto 5). Si apre sul lato orientale, distinguendosi dalle  austro-ungariche per la tecnica costruttiva e, collegata com’è da breve trincea ad una postazione rivolta a sud si presenta quale componente della cosidetta linea del Vallone, la potente sistemazione di trincee in cemento lungo il ciglio ccidentale del medesimo, da Gabria al “Castellazzo di Doberdò” fronteggiante il nucleo abitato di Bonetti e la quota 208 sud; e di lì prolungandosi verso il mare, solcando il monte Debeli e la cima di Pietrarossa, sempre in provincia di Gorizia: un’apparato difensivo che nei giorni dello sfondamento austro-tedesco detto di Caporetto (24 ottobre 1917) avrebbe dovuto proteggere il ripiegamento italiano sulle linee del Grappa e del Piave e che il precipitare degli eventi lasciò intatto. Particolare interesse, per quanto attiene alla sistemazione delle caverne, rivestono la quarta delle suindicate (VU 4, pag. 301) e VU 8 di cui allo schizzo a pagina 303. Presentano infatti le pareti cementate così come la metà del pavimento che era riservata alla sosta e al movimento degli uomini, nonché gli alloggiamenti dei pali di sostegno delle strutture lignee: “castelli-giaciglio” e rivestimento di soffitti e pareti, esternamente foderati da cartone catramato e con  lastre di “eternit” per renderli impermeabili allo stillicidio. Degni di menzione, in argomento, gli studi e l’opera di uno speciale reparto di speleologi e di ingegneri minerari istituito dal comando della 5ª Armata austro-ungarica con il compito di individuare le cavità naturali adattabili alle esigenze belliche. Il reparto era retto dal tenente della riserva ing. Boch, che nel manuale “Kavernenbau” (costruzione di caverne) fornisce la relativa normativa di intervento. Atteso il recente riconoscimento ufficiale del valore storico e culturale delle vestigia della guerra 1915 - 1918 relative a entrambe le parti del conflitto (Legge 7 marzo 2001, n. 78 “Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”) il presente lavoro è da ritenersi preliminare ad una eventuale più approfondita documentazione.

BIBLIOGRAFIA

ANONIMO - L’impiego delle macchine perforatrici e scavatrici, in “Esercito e Nazione”, a.  II, n. 4, aprile 1927.

COVA U. (a cura di) - Fonti giudiziarie e militari austriache per la storia della Venezia Giulia, Ministero dei Beni Culturali e Ambientali - Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 58, 1989.

FABI L. - Sentieri di guerra. Le trincee del Carso oggi, Ed. Svevo Trieste, 1991; ID., “Sul Carso della Grande Guerra. Storia, itinerari, monumenti, musei”, Guide Gaspari, Udine 1999.

FERRERI G. - La sistemazione difensiva austriaca sul Carso, in “Rivista di Artiglieria e Genio”, XL (72ª) annata, vol. III, luglio - agosto 1923.

GARIBOLDI I. - Le grotte di guerra, in “Le vie d’Italia”. XIX, 12 (dicembre 1924) e  XXX, 1 (gennaio 1925).

GASPAROTTO L. - Diario di un fante, Fr. Traveo Ed., Milano 1919.

MINISTERO DELLA GUERRA - Com.do del Corpo di S. M. - Uff. Storico - L’Esercito italiano nella Grande Guerra (1915 - 1918), vol. I, “Le  forze  belligeranti”, 1927.

PIERI P.  - L’Italia nella prima guerra mondiale (1915 - 1918), G. Einaudi Ed., Torino 1965.

PIEROPAN G. - 1916. Le montagne scottano. Dal Pasubio all’Altipiano dei Sette Comuni, Tamaro Ed., Bologna 1968

SCHMID A. - Il  Vallone del Carso (Notizie, documenti, memorie), Comm. Grotte  “E. Boegan”, Soc. Alpina delle Giulie - Sez. di Trieste del  CAI, 1985.

SCRIMALI A., SCRIMALI F. - Il Carso della Grande Guerra. Le  trincee raccontano, Ed. Lint Trieste 1992.

SEMA A. - La Grande Guerra sul fronte dell’Isonzo,  vol. I, II - 1°, Ed. Goriziana, 1995.

VAUCHER R. - Avec les armées de Cadorna. Exposé des operations italiennes depuis la declaration de guerre jasqu’à  la prise de Gorizia.

WEBER F. - Dal Monte Nero a Caporetto. Le dodici battaglie dell’Isonzo (1915 - 1918), Mursia Ed., Milano 1994.

 

DATI CATASTALI (CTR 5000 - Marcottini - 088112)

VU1

Posizione 1° ingresso: 13° 33’ 41” 60 - 45° 52’ 14” 91 - Posizione 2° ingresso: 13° 33’ 41” 48 - 45° 52’ 15” 24 - Quota:  m 77 e 78 - Profondità: m 1 (esclusi i pozzi-camino: P1 = 7 m; P2 = 8.30 m) - Sviluppo: m 56 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, CAT, 21.1.2001

VU2

Posizione: 13° 33’ 41” 25 - 45° 52’ 21” 13 - Quota: m 80 - Profondità: m 0,50 - Sviluppo: m 7 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, CAT, 14.1.2001

VU3

Posizione 1° ingresso: 13° 33’ 41” 25 - 45° 52’ 25” 13 - Posizione 2° ingresso: 13° 33’ 41” 13 - 45° 52’ 25” 24 - Quota:  m 95 - Profondità: m 0 - Sviluppo: m 60 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, CAT, 14.1.2001

VU4

Posizione 1° ingresso: 13° 33’ 40” 78 - 45° 52’ 20” 16 - Posizione 2° ingresso: 13° 33’ 40” 66 - 45° 52’ 20” 32 - Posizione 3° ingresso: 13° 33’ 40” 55 - 45° 52’ 20” 48 - Quota:  m 97 - 97.50 - 98 - Profondità: m + 0,60 - Sviluppo: m 73 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, CAT, 14.1.2001

VU5

Posizione: 13° 33’ 39” 84  - 45° 52’ 21” 13 - Quota: m 101 - Profondità: m 0,50  - Sviluppo: m 9 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, Edi Umani, CAT, 10.12.2000

VU6

Posizione: 13° 33’ 39” 25  - 45° 52’ 21” 45  - Quota: m 102  - Profondità: m 0 - Sviluppo: m 9,50  - Rilevatori:  Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, Edi Umani, CAT, 10.12.2000

VU7

Posizione: 13° 33’ 39” 37 - 45° 52’ 21” 69 - Quota: m 103 - Profondità: m 0,50  - Sviluppo: m 9,50  - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, Edi Umani, CAT, 10.12.2000

VU8

Posizione 1° ingresso: 13° 33’ 39” 14 - 45° 52’ 21” 77 - Posizione 2° ingresso: 13° 33’ 39” 02 - 45° 52’ 21” 42 - Quota: m 104 e 105 - Profondità: m 1 - Sviluppo: m 63 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, Edi Umani, CAT, 10.12.2000

VU9

Posizione: 13° 33’ 38” 67 - 45° 52’ 22” 58 - Quota: m 107 - Profondità: m 2 - Sviluppo: m 3,80  - Rilevatori: Maurizio Radacich, Paolo Omari, CAT, 16.12.2001

VU10

Posizione: 13° 33’ 36” 68 - 45° 52’ 24” 20 - Quota: m 110 - Profondità: m 0 - Sviluppo: m 17 - Rilevatori: Franco Gherlizza, Maurizio Radacich, Edi Umani, CAT, 10.12.2000

 

Atti del V Convegno Nazionale sulle Cavità Artificiali - Osoppo (Udine), 28 aprile - 1 maggio 2001

Franco Gherlizza*, Maurizio Radacich*, Pierpaolo Russian*,  Abramo Schmid**

*Club Alpinistico Triestino - Sezione Ricerche e Studi su Cavità Artificiali

**Società Alpina delle Giulie - Sezione di Trieste del CAI - Gruppo Studi e Ricerche sulla Grande Guerra 1915 - 1918