Abisso Skerk: va gustato a piccole dosi

primo piano clarissaLa storia inizia per caso, come sempre accade con le cose belle. Un collega di lavoro che parla di un amico che produce vino, che apre l’osmiza, che ha una grotta in una casa, che sono scesi ma fino a un certo punto ma che secondo lui va avanti, che esce aria che, che che …..perchè non vieni a vedere mi dice il collega, al limite mangiamo qualcosa, beviamo un bicchiere e festa finita. Perché no, molto volentieri rispondo. E così mi ritrovo in una delle più belle cantine del Carso dove vengono barricati vini di altissimo pregio a livello nazionale esportati orgogliosamente all’estero: l’azienda vinicola della famiglia Škerk in quel di Prepotto. La grotta è una botola a pavimento al secondo piano della cantina, mi affaccio e, accidenti che bella arietta che esce! La pulizia e la raffinatezza delle botti di legno lasciavano dei dubbi sul fatto che i proprietari lascino entrare a piacimento le tute sporche e gli scarponi grossi degli speleo e invece non solo ci accolgono nel migliore dei modi ma ci spiegano un po’ di cose, la storia dei loro vini, la scoperta della cavità con le opere di allargamento della casa: … “quell’apertura nella terra poteva essere utile nel mantenere costante la temperatura e l’umidità della cantina, così abbiamo deciso di mantenerla aperta e valorizzarla illuminando l’entrata con dei faretti” spiega Sandi, il figlio maggiore, parla della grotta come fosse un tesoro. Ci incoraggiano ad entrare, ad andare avanti, ad esplorare, acquistano tutto il materiale necessario per la progressione, ci affidano il sottosuolo colmi di speranze come dire andate e moltiplicate i metri. Sapevo che la grotta era già stata esplorata e rilevata dal Gruppo Grmada di Malchina assieme a Paolo Alberti (Papo) all’epoca del gruppo San Giusto, quindi chiamo Franc Fabec e Damjan Gerlj del Grmada appunto e chiedo se posso andare a vedere ed eventualmente andare avanti con le esplorazioni: nessun problema mi dice vai pure noi lì abbiamo finito. Così con il benestare dei primi esploratori, il sabato successivo io e Max iniziamo la discesa per vedere cosa c’è di bello là sotto. Sinceramente il primo impatto non è molto entusiasmante: strettino, il primo fango molliccio ci fa capire che il sotto non rispecchia per niente la pulizia quasi da sala operatoria del sopra, un patina inquietante degna di un film sugli alieni ti guarda trasparente lungo tutte le pareti, il primo pezzo un po’ franoso, di bello proprio niente…boh ecco perché non sono andati più avanti pensiamo. Comunque scendiamo, i primi 10m sono attrezzati con scaletta fissa, ingegnosa opera del Sig Boris (paron de casa) che, all’insaputa della moglie, domenica dopo domenica costruisce scalini, poi iniziano le corde. Attrezziamo tutto ex novo con i materiali “skerk”. Giunti ad un terrazzino la verticale si divide in due: un saltino largo di 20m che porta ad un fondo occluso da materiali di frana mentre la seconda scelta è una finestra angusta: naturalmente la prosecuzione è questa. discesa a skerk

Ci affacciamo su un’altra verticale parallela all’altra, ci guardiamo attorno: a però niente male, un bel pozzo di 30m che continua anche verso l’alto levigato e abbellito da scanalature come la cassa toracica di una balena. Lungo tutte pareti centinaia di animaletti isopodi, Titanethes dall’aspetto pasciuto e in alcune nicchie che sembrano fungere da nursery, minuscoli “cuccioli” di queste creature, speriamo di non spaventarli eccessivamente. Vediamo il fondo del pozzo, la discesa però continua con un altro saltino, appoggiamo i piedi su una quantità di fango industriale, ci stacchiamo dalla corda, ci guardiamo, ci rigiriamo in un ambiente di 0,60x1m, in su, in giù, di lato niente, parete, parete, parete, fango, fango, fango: game over. Finisce tutto qui ad una quarantina di metri dall’entrata? Troviamo un vecchio sacco desolato del Grmada, anche i Titanethes ci hanno abbandonato, però con questa morfologia…senti, senti l’aria la senti? Da dove viene? Dal pavimento, no di lato, forse di qua, ritorniamo sotto il pozzo da 40m anche qui c’è aria, sicuramente farà giro con il pozzo parallelo niente di tale sarà un ricircolo. Sai cosa, prima di mollare tutto chiediamo a Boris se ci procura un ventilatore e “forziamo” la grotta a farci sentire la sua voce. La volta successiva Boris ci fa trovare un ventilatore di tutto rispetto, mettiamo in depressione la grotta. Ritorniamo al fondo ascoltiamo e annusiamo, l’aria non è più spalmata lungo gli ambienti ma esce esattamente da un solo distinto punto: una piccola insignificante apertura tra la parete e il soffitto, metto il naso vicino e sì e proprio qua. Gioia, felicità, evviva, prosegue! L’entusiasmo si placa quando mettiamo a fuoco la mole di lavoro che ci aspetta se iniziamo l’avventura scavo. Ma sì dai proviamo, se dopo vediamo che è sempre stretto lasciamo perdere, almeno un tentativo. Questo tentativo si è trasformato in mesi di lavoro di allargamento, di recupero del materiale fino sopra al terrazzo sotto al pozzo da 40m, di infiniti fanghi e divertimento.

skerk pozzo Con l’aiuto di amici soci del San Giusto siamo riusciti ad aprire una speranza tra la roccia, speranza tradotta in 5m di cunicolo scavato artificialmente, finché un pomeriggio con Papo, un ultimo colpo di mazzetta parte la chiave di volta e un bel tonfo sordo ci fa capire che ce l’abbiamo fatta: un altro pozzo da 40m! Boris aveva ragione, non poteva finire così! Non ci possiamo credere, riusciamo a scendere senza alcun intoppo, un regalo per noi umani, atterriamo su una specie di bordo di roccia franoso, il nostro viaggio continua più stretto, bagnato ma continua. Altri mesi di scavo per aprire i passaggi che rimangono però tuttora disagevoli, quando piove arriva giù una bella quantità d’acqua, impossibile lavorare. Andiamo avanti, superato anche questo ci attende un’altra strettoia strisciante e poi finalmente un ambiente vasto: capiamo che tutta la grotta è impostata su una stessa frattura, quella intercettata con l’allargamento della cantina, che ci conduce verso l’interno. Scendiamo un'altra verticale da 10m, arriviamo alla base, le pareti corrono sinuose e diventa un meandro, pulito, una fascia di fossili rompe il grigio del calcare, a monte del meandro dei grossi blocchi di frana fanno paura e conducono a una zona “geologicamente “ giovane dove l’acqua sta ancora svolgendo il suo lavoro di allargamento, però non porta da nessuna parte. A valle del meandro una fessura ed uno scivolo viscido conducono ancora più in basso ad uno slargo che a noi sembra enorme 3x6m e alto una ventina di metri. Il fango e l’aria non ci abbandonano mai. La grotta ci ha portati a 120m di profondità, di nuovo ci guardiamo attorno, il fango entra dappertutto e nasconde la morfologia interessante e inconsueta per le grotte del Carso: a tutti gli effetti è un ex inghiottitoio, via preferenziale dell’acqua, una delle tante vene che alimentavano il corpo idrico sotterraneo e che, ancora oggi svolge il suo compito anche se in misura minoritaria. skerk Laura

A contemplare, a rigirare il fango a fare risalite, a scavare in questo ambiente appena trovato siamo rimasti un bel pò di domeniche’. Il fango non dà tregua, si arriva al posto di lavoro già carichi di argilla, monocolori, con gli attrezzi che potrebbero essere qualsiasi cosa, la mazzetta e tutta l’attrezzatura da scavo dopo cinque minuti diventano viscide come delle anguille, i guanti non servono più, la merenda è qualcosa di mistico, la voglia di continuare si mescola con il fango e sempre quel leggero soffio che raggela la tuta fradicia. Ad ogni uscita si lavora al “fronte” per quattro ore poi si ritorna sù. Siamo scoraggiati ma sempre ottimisti, l’aria ci gira attorno, va, ritorna, si ferma a metà pozzo poi riscende, beata lei che sa dove andare. E una di quelle volte che abbiamo detto: ma, non so, forse non c’è più niente da fare, abbandoniamo, ma Papo si siede in po’ in disparte, nella zona a monte del meandro, accende la sua bella sigaretta e vede il fumetto che candidamente fa un angolo retto e viene deviato ….vien a veder Cla xe de qua! E sì, aveva proprio ragione, ben nascosto dietro a un masso una piccola fessura mandava fuori a pieni polmoni il respiro della grotta. Uno scavo relativamente facile, strettoia e via un altro bel pozzo da 30m, altro regalo della natura.

skerk fondoSiamo giunti più in basso dell’altro fondo, siamo a circa 170m, ma la profondità  è relativa, è la gioia di vedere come la grotta sta camminando all’interno del massiccio carsico e noi con lei, la soddisfazione di uscire e vedere gli occhi di Boris illuminarsi quando raccontiamo che la sua grotta ci sta mostrando le sue bellezze, belle davvero e speriamo non si stanchi di noi perché noi di lei difficilmente lo saremo anche se là sotto lavori immerso nell’argilla, anche se esci che sembri il mostro della palude nei giorni peggiori, anche se i cappelli fanno invidia ad un rasta, anche se impieghi due giorni a lavare tutto il materiale per sporcarlo di nuovo la domenica successiva, anche se tutta la biancheria ha preso un colore ocra uniforme ma soprattutto perché fuori ci attende un ottimo bicchiere di Vitoska fresca.

Davanti a quel liquido paglierino, ai sorrisi bianchi in contrasto con il viso marrone, ai racconti, va tutto bene, Boris lava pazientemente le nostre impronte lasciate in cantina, chiude la porta e lascia  che la grotta riposi come il vino nelle botti. I lavori di scavo continuano, si è individuato un altro passaggio da allargare a -170m, sono stati fatti dei campionamenti della “patina aliena” da parte del dott. Cancian del gruppo Lindner di Ronchi dei Legionari, si intraprenderanno degli studi anche sulle acque di percolazione. Grazie agli amici dello Speleo Club Roma, del gruppo Ronda Imolese per l’aiuto e l’amicizia dimostrata. Il Club Alpinistico Triestino ha messo a disposizione il materiale e i soci stanno continuando le esplorazioni, gli amici continuano a seguirmi forse per passione, più per incoscienza, forse per amicizia più probabile per il buon vino.

skerk foto gruppo

Clarissa Brun

 

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