Urbana: speleologia si o speleologia no?

La Speleologia in cavità artificiali o - come più comunemente detta - la Speleourbana è una disciplina nata in seno ai vari gruppi speleologici come un piacevole diversivo o, nel caso di zone prive (o quasi) di fenomeni ipogei naturali, come una forzata alternativa all'attività primaria. Con il passare del tempo, questa disciplina è cresciuta, si è staccata dal "grembo materno" ed è diventata indipendente, vivendo di vita propria. Fare Speleourbana, però, non significa solamente ripercorrere luoghi già esplorati e rilevati da altri, né scoprirne dei nuovi, ormai persi nella memoria della gente. Significa anche studiare la storia di questi luoghi. Significa anche portare alla luce (metaforicamente parlando) questi luoghi preservandoli, consolidandoli e rendendoli fruibili alle persone - passateci il termine - comuni, a coloro cioè che per svariati motivi non si dedicano alla Speleologia in nessuna sua forma.

 

URBANA: SPELEOLOGIA SÌ O SPELEOLOGIA NO?

Specialmente in questi ultimi tempi, nell'ambito della speleologia triestina, questa domanda è diventata una sorta di quesito esistenziale che il più delle volte si è risolto nella classica "discussione sul sesso degli angeli". Da una parte i "puri" snobbano le cavità artificiali giudicandole lavori facili e di tutto riposo, dall'altra, chi pratica questa disciplina (pur riconoscendone, in alcuni casi, la facilità) sostengono che, seppure in altra forma, si tratta comunque di speleologia.

Io credo che il problema della classificazione sorga dal termine con il quale, comunemente, viene identificata questa attività: SPELEOLOGIA URBANA. Un termine coniato in tempi recenti e, a mio avviso, completamente errato in quanto presuppone - appunto - un qualcosa legato alla città. L'articolo che segue questa breve nota stravolge completamente tale luogo comune.

"Fra le opere di speleologia - scriveva Felice Petritsch - è da annoverarsi come una delle principali quella di Franz Kraus: "Hölenkunde" (Vienna 1894). [.] Kraus divide le grotte a seconda dell'epoca della loro formazione in tre gruppi, e cioè in: 1) grotte originarie; 2) grotte formatesi più tardi; 3) grotte artificiali." e più avanti spiega: "Grotte artificiali: a questo gruppo appartengono tutti quegli spazi sotterranei che devono la loro origine alla mano dell'uomo; tali sono le miniere e le grotte naturali che furono adoperate dall'uomo a propria difesa fornendole di muri ed altre opere fortificate. [.] Anche la grotta d'Ospo conserva ancora il grosso muro che venne eretto a sbarramento del suo ingresso" .

Questo veniva pubblicato su "Il Tourista", nel 1895, quale "Contribuzione alla speleologia del Carso triestino" .

Dunque la cosiddetta speleologia urbana non è nata in tempi recenti, come comunemente si crede, ma esisteva già - e veniva considerata "Speleologia" - nel secolo XIX. E se la Speleologia, come unanimemente riconosciuto nell'ambiente, è nata sul nostro territorio nella seconda metà di quel secolo, questo significa che, contemporaneamente, è nata anche quella che - oggi - viene erroneamente definita "Speleologia Urbana". Alla luce di questi fatti si potrebbe dunque rispondere alla fatidica domanda con un "URBANA: SPELEOLOGIA SÌ.". Ma siamo convinti, purtroppo, che si continuerà a "discutere sul sesso degli angeli"!

Contribuzione alla speleologia del Carso triestino - di Felice Petritsch

Fra le opere di speleologia è da annoverarsi come una delle principali quella di Franz Kraus: Höhlenkunde (Vienna 1894). Grazie ad accuratissimi studi ed alla sua lunga pratica, l'autore fu in grado di raggruppare le singole caverne secondo un sistema che supera tutti gli altri finora tentati per classificarle. Colla scorta di quest'eccellente sistema mi sono assunto il compito di classificare le grotte del Carso triestino da me finora esplorate. Kraus divide le grotte a seconda dell'epoca della loro formazione in tre gruppi, e cioè in: 1.° Grotte originarie. - 2.° Grotte formatesi più tardi. - 3.° Grotte artificiali.

1.° Grotte originarie

Sono quelle, che si formarono simili a vesciche nel momento del raffreddamento della roccia primitiva. Tali caverne non esistono in Carso, perchè è impossibile che si siano formate in esso cavità vescicali. Le differenti grotte carsiche sono quindi d'annoverare al 2° gruppo lasciando a parte le rare, piccole grotte artificiali da giardino. Le caverne formatesi più tardi sono divise da Kraus in più classi a seconda del modo di formazione e precisamente: I. Fessure e caverne erose. - II. Caverne d'erosione. - III. Caverne corrose. - IV. Caverne a nicchia. - V. Caverne e volta sovraposta.

Incominciamo dalla I. classe.

I. Fessure e caverne erose.

Non ve ne sono molte in Carso perchè nella maggior parte furono allargate e ridotte a grotte e spelonche dall'azione dell'acqua; altre si colmarono nuovamente. Però si trovano ancora in molti luoghi avanzi di queste fessure colmate come p.e. quella che dalla spelonca d'Opicina va in direzione di levante, è quasi del tutto colmata, meno uno stretto pozzo d'erosione. Anche a Ferneti}, ad occidente della strada, si trova una fessura, che si estende molto in lunghezza e finisce in una spelonca di 9 metri recentemente aperta. Da questa spelonca sparisce l'acqua piovana e se ne ode chiaramente il mormorio. Una fessura ad oriente di Briscici, va anch'essa lentamente riempiendosi. La fovea fatale a N.-E. di Gabrovizza è una grande frattura erosa.

II. Caverne d'erosione.

Furono originate dall'azione chimica e meccanica dell'acqua che trasformò fessure maggiori o minori in vaste caverne. La formazione delle caverne fu sempre preceduta dalla formazione d'una fessura. A quest'ordine appartiene il maggior numero di caverne. Si possono dividere in due sotto-ordini, cioè in caverne con acqua ed in caverne asciutte. Alle caverne con acqua appartengono in prima linea la grotta di San Canziano, quelle di Lethe di Odolina, di Hoticina, di Loce, Bresovizza, ecc. Le grotte asciutte si formarono nello stesso modo come le caverne d'acqua e si distinguono da queste perchè la circolazione d'acqua o s'arrestò del tutto, oppure s'inabissò in più profondi orizzonti. A queste appartiene prima d'ogni altra la grotta di Padri~, che mostra palesi traccie d'erosione e conduceva pel passato l'acqua del Carso al mare, oggi però la sua fine si trova a 275 metri di profondità, causa le parti solide condotte e deposte dall'acqua. Appartiene pure a questo gruppo la grotta Ba~ presso Basovizza e la grotta, molto diramantesi, presso il bosco Koller. Grandiosi spazi sotterranei possiede la grotta stalattitica di Lipizza, la quale pure è d'ascrivere alla potenza erosiva e corrosiva dell'acqua. Anche ad occidente del pianoro del Carso troviamo simili opere dell'acqua. Così p.e. la grotta delle Tre Colonne e la grotta degli Orsi nei pressi di Gabrovizza. È possibile, che queste due caverne una volta comunicarono fra loro. Oggi però ogni comunicazione venne tolta da una frana successa. In ogni caso l'ingresso della grotta delle Tre Colonne forma una grandiosa dolina di franazione e nel mezzo dell'ingresso si trova infisso un potente masso di roccia, che a suo tempo formava una parte della volta. Nell'ultima caverna si osservano ancora oggi le traccie della circolazione dell'acqua, il termine della caverna è formato dal suolo fangoso e piano mentre sulle pareti si osservano parecchie fessure, dalle quali partono, e vanno fino al fondo, numerosissime traccie d'erosione.

La grotta di Ternovizza è una grotta di scarico; incominciando con un imbuto sbocca in una grande sala, che si formò in conseguenza del precipitare di giganteschi massi dalla volta. Una seconda frana della volta si osserva all'ingresso dell'ultimo atrio. Il corso dell'acqua deviato cercò di farsi strada erodendo le pareti di fianco. Anche la grotta Gigante di Briscici è una grotta di scarico. Il suo grandioso duomo però si formò in conseguenza del precipitare del suolo, allorchè la grotta si trovò situata in più basso orizzonte. La grotta Plutone, presso Basovizza, è pure un corso d'acqua sotterraneo. Interessantissima è la grotta dei Cadaveri nei pressi di Padri~. Anche questa era una grotta di scarico, però una frana della volta precluse la via dell'acqua, e mentre questa cercava un'altra frammezzo a materiale da breccia, erose dapprincipio ad un'altezza di 10 metri, un corridoio lungo 10 metri; trovò poscia miglior deflusso al fondo della caverna, grazie a parecchie fessure. Ancora molte altre caverne del Carso conducono le acque sotterra, però la riunione delle stesse non si potè ancora precisare.

III. Caverne corrose.

Caverne che devono la loro formazione soltanto alla corrosione non esistono in Carso; però la corrosione coopera alla formazione d'ogni grotta. Un bel esempio di corrosione lo abbiamo nell'abisso di Pauli Vrh, dove una parte della roccia venne corrosa in modo, che un tratto di roccia 20 cm. lungo e largo da 3 a 4 cm. si stacca parallelo alla parete principale. Tali casi non sono rari.

IV. Caverne a nicchia.

Queste si trovano frequentemente nel Carso e sono nella maggior parte avanzi di caverne franate. Di tali nicchie si trovano moltissime nelle numerose doline fra Ferneti} e Repen-Tabor, come anche nei pressi di Herpelje e Matteria. Anche la caverna presso Zgonik, di cui il Club possiede istrumenti ed oggetti in essa trovati, deve ascriversi a quest'ordine.

V. Caverne a volta sovraposta.

Sono quelli spazi cavernosi che si formano dalla caduta dei monti, dall'eruzione di vulcani oppure dalla separazione di tuffi dalle sorgenti. Inoltre si può annoverare in questo gruppi quegli spazi cavernosi, che si formano dalla sovraposizione delle roccie; di quest'ultima maniera abbiamo alcuni esempi nei dintorni di Repen-Tabor ed altri luoghi. Ma in generale si trovano di raro.

Apparizioni erosive superficiali.

A questa categoria Kraus annovera le seguenti apparizioni del Carso:

I Frane: 1) Pozzi di franazione o abissi.

II Erosioni: 1) Pozzi d'erosione o pozzi; 2) Imbuto del Carso; 3) Imbuto nelle terre allagate.

Le frane in Carso sono frequenti. Bastino i seguenti esempi a dimostrare le varie forme che sono d'ascriversi alle frane: negli ultimi tempi si formò ad oriente di Gabrovizza un abisso abbastanza profondo, che però causa ai molti sassi rotolativi dentro, divenne intransitabile; l'anno scorso in Febbraio s'aprì presso Padri} una fessura la quale conduce ad una stretta caverna. Il maestoso abisso dell'Ascia, che ha profondità di 120 m. ed una larghezza di 60 m., è d'ascrivere pure ad una frana. Così l'abisso a destra della strada erariale di Trieste, circa un chilom. prima di Ferneti} è originato da una frana. Molti ingressi di grotte sono stati formati dal precipitare della volta. Il primo ingresso della grotta Gigante è originato da una intiera serie di frane ed al suolo si vedono ancora oggi i ruderi della volta. Tali frane sono da ascriversi prima di tutto alla denudazione della volta rocciosa, che sempre più intaccata da varie cause, frana della parte più sottile e questa circostanza possiamo chiaramente constatare nel terzo ingresso di questa grotta. Da questa caduta fu ostruita la parte settentrionale della caverna d'acqua che corre ora direttamente a sud. Il secondo dei tre ingressi è invece un pozzo d'erosione. Ad una simile caduta deve la grotta a nord di Gabrovizza il suo ingresso. Ordinariamente una tale frana della volta si riconosce dall'ammasso di roccie giacenti al suolo immediatamente al disotto.

In senso scientifico sotto il nome "dolina" s'intende soltanto quegli avvallamenti della roccia causati dal precipitare del suolo. A questi appartengono la maggior parte delle doline del Carso. Spesso sulle pareti della dolina sono perfettamente riconoscibili i resti della grotta franata, come p.es. in alcune doline fra Ferneti} e Repen-Tabor. La grotta "Andrea Hofer" ne è il più bell'esempio. In maggior numero si riscontra tale caso nei dintorni di Matteria. Lo speco dei Colombi presso Tabor, la grotta Ba~, la grotta di Markusina ed altre devono la loro origine ad una dolina di franazione. Nella grotta di Hotticina si osserva ancora meglio l'origine della franazione, mentre lo ammasso di pietre cadutevi, o gettatevi poi, si vedono chiaramente elevarsi sui potenti blocchi di roccia franati per primi. Anche l'abisso di Bresovizza è un potente abisso di franazione. Qui si incontrano la dolina e l'abisso che si distinguono l'uno dall'altro perchè nella dolina le pareti sono rese praticabili dall'erosione, dall'efflorescenza, dalla franazione e la soglia è più elevata, mentre l'abisso ha ancora conservato la forma originaria. Se adunque dalla franazione della volta sulla quale poggia la superficie esterna, si formerà un abisso od una dolina, ciò dipenderà soltanto dalla quantità di materiale franato. Da un abisso originario può naturalmente formarsi in seconda linea, grazie a franazione dei margini e delle spianate così costituite dal fondo, una dolina. Fra le più grandi doline di franazione sono da considerarsi la dolina d'Orleg, la dolina di Divacca, la dolina fra Cosina ed Erpelle ed altre.

Alle apparizioni di franazione fanno riscontro le "apparizioni d'erosione". Tutte queste forme sono originate dalla forza dell'acqua. A questo gruppo sono d'annoverare prima d'ogni altra la maggior parte dei pozzi perpendicolari così numerosi in Carso, come p. es. il pozzo Plutone, il pozzo Hades, il pozzo Andrea, il pozzo Antonio, il pozzo di Klu~, il pozzo d'Opicina, il pozzo di Tartaro ed altri. Sotto la denominazione d'imbuto del Carso Kraus intende quelli avvallamenti dolineiformi i quali devono la loro formazione soltanto all'erosione e che posseggono al fondo un'apertura di deflusso; sono numerosissimi nella vicinanza di Erpelle, Matteria, Markusina, e si distinguono dalle doline di franazione, che hanno le pareti a picco, per la loro forma ad imbuto. Molto simili a loro sono gli imbuti delle terre allagate (da inondazioni più o meno periodiche o accidentali) che si distinguono dagli imbuti del Carso pel loro sottosuolo spugnoso. Anche questi non sono rari ed ordinariamente si trovano negli avvallamenti a fondo di caldaia.

3° Grotte artificiali.

A questo gruppo appartengono tutti quegli spazi sotterranei che devono la loro origine alla mano dell'uomo; tali sono le miniere e le grotte naturali, che furono adoperate dall'uomo a propria difesa fornendole di muri ed altre opere fortificatorie. In questo gruppo sono quindi da annoverarsi i Tabor di Cernical e di Podpecchio, nei quali ripararono gli abitanti degli omonimi villaggi durante le invasioni nemiche. Anche la grotta d'Ospo conserva ancora il grosso muro che venne eretto a sbarramento del suo ingresso. Molto meno conosciuta è la grotta sotto il Tabor nella valle di Bresovizza. Nella parete sud-orientale della valle si trova questa grotta originata dal ruscello che ora serpeggiando l'attraversa. La grotta venne destinata dai possessori del castello ad uso di prigione ed oggi ancora si vedono infissi nel muro alcuni ceppi. Un piccolo muro sbarra l'ingresso. Anche sotto il castello di S. Servolo si trova una grotta che devesi annoverare in questa categoria.

Prima di finire propongo ai nostri esploratori di adottare le seguenti denominazioni delle caverne, a mio modesto parere più razionali: GROTTA designerei un qualunque corso di acqua sotterraneo, se anche ora è prosciugato; i pozzi d'erosione, essendo stati originati dall'acqua, proporrei di chiamarli semplicemente POZZI, e, in opposizione a questi, chiamerei i pozzi di franazione abissi. Alle più piccole caverne erose che cominciano con un pozzo, essendo questa forma tanto abbondante, darei il nome già tanto comune di FOVEA.

(Testo tratto da "Il Tourista" - Anno II - 1895 - n. 8 del 7 Agosto 1895; n. 9 del 4 Settembre 1895 e n. 10 del 2 Ottobre 1895)