Speleorando 2010

gruppo 2010È stato il buon Franco Gherlizza, mentre scarpinavamo sul sentiero che dalla ex ferrovia della Val Rosandra porta all’imbocco della grotta delle Gallerie, a invitarmi a esprimere un parere sul corso di primo approccio alla speleologia che il CAT ha tenuto la scorsa primavera. Metto subito le carte in tavola perché, se dovessi stimolare in voi lo stesso sentimento di ‘che barba che noia’ che prova un proteo solitario, sappiate chi è il colpevole.

Un momento. Ma siamo poi sicuri che il proteo si annoia? O non sarà forse che proprio laggiù, adagiato al fondo di una cavità, al riparo dal trafficato e rumoroso via vai umano, il saggio animaletto si gode il senso di pace di una esistenza senza tempo e senza affanni? D’accordo, non facciamone un filosofo. Però scendendo per la prima volta nelle cavità del Carso, strisciando pancia a terra, col naso a pochi centimetri da una millenaria stalagmite, ho pensato che i protei avranno i loro buoni motivi per starsene laggiù. E che magari ci sono persone che si avvicinano alla speleologia per fare come loro, per scollegarsi temporaneamente dal mondo.

Non tutti i grottisti sono così, ovvio, e la molla che li spinge, il fuoco sacro che li anima è diversa per ciascuno. O almeno è quello che mi pare di aver capito partecipando ad alcune escursioni in compagnia di questi rabdomanti di anfratti, dalle tute colorate che odorano di acetilene e che si insinuano in ogni buco con la studiata sinuosità di contorsionisti indiani. Tra di loro infatti trovi chi cerca il contatto con la natura, sedotto dal suo richiamo di elemento ancestrale, di pietra lavorata dal gocciolare del tempo, chi da parte sua ama la sfida con sé stesso insita in ogni pratica che richiede la padronanza di una tecnica, chi ancora è attratto dalla conoscenza di ...ma chissà quanti altri motivi spingono il grottista e stanno dietro a quei laboriosi e attenti preparativi che preludono al momentaneo passaggio nel mondo delle caverne.

Ma una cosa credo di aver compreso. Che a unire tutti coloro che praticano la speleologia c’è la convinzione che la fatica, la difficoltà e a volte il disagio sono il prezzo da pagare per poi ottenere l’ambito premio di un salto in compagnia in osmiza. È infatti lo spirito di gruppo, il piacere dello stare insieme durante una discesa ma anche davanti a un calice che anima i grottisti, perché senza gruppo, solidarietà, aiuto reciproco non si va in grotta. C’è un motivo, ho pensato, se qui, al Gruppo Grotte del CAT, si incontrano belle persone, gente disposta a darsi sempre a mano, con la battuta pronta, la canzonatura ironica, quel mix tra il ruvido e il bonario ma sempre affettuoso, una specie di strettoia oltre la quale si apre l’orizzonte dell’amicizia.

Questa è l’impressione, una bella impressione, che ho ricavato da questo che più che un corso è stato un invito, un cenno di seduzione del mondo sotterraneo di quel territorio unico e da noi così amato che è il Carso.

Paolo Marcolin

 

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L'articolo è tratto da TuttoCat 2011