Emozioni da Rio Neri

rio neri“Fontanon del Riu Neri” ….cosi’ si trova la dicitura in catasto. Il nome ricorda una località della Sardegna, invece si trova sul monte Rest, alla destra orografica del fiume Tagliamento. Questo luogo era conosciuto della speleosubacquea triestina già da tempo, la zona era stata frequentata fin dalla seconda metà degli anni ‘60.  Come spesso accade, dopo un periodo di esplorazioni intense, sono seguiti degli anni in cui tutto è rimasto “nelle cose da fare”. Di recente la squadra speleosubacquea del CAT è tornata a portare la propria luce all’ interno di questo meraviglioso fenomeno naturale. La possibilità di concretizzare l’uscita, come al solito, è frutto di coincidenze: il sabato libero da impegni personali, i fuoristrada 4x4 disponibili, ma soprattutto la disponibilità del meteo e della stagione. In inverno questo posto è irraggiungibile e se piove, anche in altre stagioni, è pericoloso. Quest’anno, di tempi imprevedibili e di acqua dal cielo, ne abbiamo avuto in abbondanza.

Partiamo di buon’ora, in una macchina io e Luciano, in un’altra Clarissa e Alex. Procedura come da protocollo: caffè - autostrada - uscita a Carnia. Quante e quante volte abbiamo ripetuto questo cliché fisso. Uffa gli speleo triestini sono proprio abitudinari. Ma la stereotipia finisce qui. Non si va verso Sella Nevea, Val Resia, Canin. No, finalmente un’altra zona. Passiamo Villa Santina, imbocchiamo la deviazione per il Passo Rest e…saliamo. Gli ultimi 11 chilometri, prima di arrivare alla risorgiva, sono di strada bianca, che è meglio affrontare con un fuoristrada, a causa dei solchi di deflusso delle acque, trasversali al senso di marcia e scavati in profondità. Penso alla mia povera Toyota, che gratterebbe la pancia continuamente, probabilmente arenandosi come un delfino spiaggiato. Da grande mi comprerò una jeep. L’avvicinamento prosegue lento, a causa di certi passaggi dissestati, in compenso scopriamo che il bosco è abitato da animali …non troppo “selvatici”, infatti, una bella volpe ci regala una visita a sorpresa. La nostra meta è alla destra della strada:  uno spiazzo erboso che rende comodo il parcheggio e la disposizione ordinata delle attrezzature. Davanti a noi scende una scarpata e, più sotto, ad una ventina di metri in linea d’aria, si apre l’ingresso della cavità. Montiamo una teleferica, che servirà a portarci via tempo, ma anche fatica, nel trasporto del materiale davanti all’ ingresso.


Entrando, si percorre una china detritica per circa 40 metri ed ecco il sifone. L’acqua è limpida, ma per un curioso effetto ottico, il sifone non si vede, sembra non ci sia prosecuzione alcuna. Solo un piccolo laghetto e nulla più. Clarissa ci interpella perplessa: “ma… el sifon??”  “xe qua??” Rispondiamo: “Si, xe là… sotto parede, a sinistra”. Noi gli avevamo descritto il passaggio subacqueo come: “passabile”, “non largo e non stretto”, a forma di condotta forzata. (Forse aumentano le sue perplessità su di noi, ma non ce lo dice). Quando Ciano parte per primo, illumina la parte subacquea, rendendo palese l’effetto ottico e rivelando il passaggio. Passa Alex. E dopo un po’ vado io. Un sacco a testa. L’acqua è pulita, mi pento di non avere in mano la telecamera per documentare questo tratto. Sarà per la prossima volta.

Mi concentro sugli obiettivi prefissati, che sono due: provare ad individuare un secondo ingresso che eviti l’ immersione e la documentazione video-fotografica del secondo sifone. Quello interno. Siamo dentro. Per assolvere il primo compito, percorriamo una galleria fossile, che ritorna indietro sopra il tratto allagato, sembrerebbe impossibile che l’ acqua salga fino qui. Ma lo spezzone di una vecchia sagola da speleosub, strappata da “chissà dove” e messa da” chissà chi”, ci testimonia il contrario. Accendiamo l’apparecchio ARTvA, la trasmittente che di solito si usa per individuare la posizione del malcapitato che rimane sotto la neve, travolto da una valanga. Si è visto che questi strumenti, oltre che attraversare la neve, riescono a far passare il loro segnale anche attraverso molti metri di roccia. La speranza è che Clarissa, rimasta all’ esterno, captando il segnale, possa farsi un idea della nostra posizione all’ interno. E magari chissà…raggiungerci.

Lasciamo il segnalatore in trasmissione e andiamo verso il secondo sifone. Solo all’uscita sapremo che Clarissa ci ha captati, si, ma lo strumento indicava una distanza maggiore di 80 metri!  E’ una distanza sufficiente a scoraggiare il piu’ caparbio dei disostruttori!!! E’ necessario fare la spola tre volte per trasportare l’attrezzatura subacquea fino alla partenza del sifone. Ma ne vale la pena. Anche se il nostro pensiero è  rivolto al compito che ci siamo prefissati, la galleria che percorriamo è qualcosa di unico: vaschette concrezionate, con i bordi dalle forme variegate, allietano la nostra vista. Curiose stalattiti, dal color porpora, pendono dal soffitto. In alcuni punti il loro colore diventa rosso sangue e lo stillicidio sembra chiazzare dello stesso colore il suolo. La nostra vista si soddisfa di calcite bianca sulle pareti e la fantasia galoppa osservando la roccia levigata nelle forme piu’ strane.

Le concrezioni di varie fogge e colori sono ovunque e ci accompagnano fino ad un laghetto che, con un brivido, attraversiamo a nuoto. Sembra di essere in un “parco acquatico”. Vaschette da evitare per non rovinarle, arrampicate in libera da fare con attenzione, vasche più grandi, che diventano piccole piscine da attraversare…insomma non manca nulla. La natura è un architetto meraviglioso ed insuperabile. Se non fossimo gravati dal peso dell’equipaggiamento subacqueo, si potrebbe definirlo un momento ludico.

rio neriIl secondo sifone è attraente. La prima volta che l’ho visto, avevo la lampada a carburo e la luce calda della carburo mi aveva regalato un colore dell’acqua indimenticabile. Blu intenso, con delle leggere increspature sulla superfice che davano l’idea di una materia piena di energia. L’ immagine che, nei film di fantascienza, si usa per rappresentare i varchi spazio-temporali. Stavolta, la luce del led illumina una superfice verde-acqua, appena increspata e screziata dal riflesso bianco della roccia del fondo. In un attimo siamo dentro, avvolti dal freddo abbraccio dell’acqua, che aumenta via via, mente ci caliamo in profondità. Sono sicuro che Alex, che è nuovo a queste cose, si diverta e si emozioni moltissimo allo stesso tempo. Ma lo scopo della vita non è quello di emozionarsi?

Le bolle emesse dagli erogatori dei miei compagni salgono abbondanti, vengo inglobato da una nuvola argentea. L’espirazione favorisce la discesa, mi dico, ma penso anche alla possibilità che un erogatore sia andato in autoerogazione per il freddo. Non so cosa vedrò quando ne uscirò. Le bolle d’aria mi solleticano e, secondo natura, se ne vanno verso la superfice. Scorgo piu’ sotto Luciano che sagola, Alex accanto. Tutto ok. Io mi aggiro dalle loro parti, cercando di posizionarmi per ottenere delle buone inquadrature. La mente in questi casi è vigile, attenta ed elabora con la freddezza di un computer.

Mi sento bene. Vivo questo momento.

A metà percorso, il sifone risale in un angusto spazio aereo, lo superiamo e scendiamo di nuovo. Altre bolle, poi con lo sguardo seguo i massi del fondo circondati appena dal sedimento. Sulle pareti la roccia è bianca, levigata. Cerco di fare delle buone foto. Emergiamo dall’altra parte, alla fine del sifone. Da qui, proseguendo a piedi, si può raggiungere il ramo principale e proseguire verso la parte della grotta ancora da esplorare: ci sono rami da percorrere…camini da risalire e poi c’è ... il terzo sifone… il mitico terzo sifone, ancora inesplorato.

Ma tutto questo farà parte di: “nuove avventure” - il nostro stile di vita preferito -

D.

 

FOTO GALLERY

RIPRENDONO LE ESPLORAZIONI, SPELEOSUB AL RIO NERI 

VIDEO 2013

VIDEO 2014