Una bella grotta triestina: la Grotta Romana

sergio e dario alla romanaGiochiamo un po’ con le parole: la grotta Romana si trova a Trieste, tra Gabrovizza e Sgonico, all’altezza di Carsiana. Essa ha un imbocco che si apre tra nudi banchi calcarei posti vicino ad una abitazione, a 10 minuti dalla strada asfaltata. La cavità ha inizio con una caratteristica fenditura dove gli speleologi del CAT, hanno sistemato in una scaletta in alluminio e una corda di sicura, fissata su tre alberi (per la cronaca: orniello e carpino nero, tipici esemplari della boscaglia carsica). Il pozzo iniziale frastagliato provoca negli studenti immediata emozione, un misto tra curiosità e paura. Nessuno prima ha mai provato a scendere con le scalette una “vera” grotta. Il breve baratro ha pareti estremamente irregolari dove, soprattutto nel tratto iniziale, c’è qualche difficoltà a infilare le dita tra roccia e scaletta.

Sedici studenti e due professori si mettono in fila per farsi coraggio attendendo il turno di discesa: nessuno urla, nessuno piange, nessuno è terrorizzato. Tensione si, ce n’è, ma è un altro discorso. Un assaggio di speleologia lo avevamo avuto a scuola, assieme ad un centinaio di altri studenti della Caprin, ma... quando si dice che la teoria abbraccia la pratica! Gli studenti della prima A della scuola media “Caprin” hanno potuto verificare con mano ciò che il dott. Dolce, biospeleologo esperto di anfibi e pipistrelli, aveva loro anticipato a lezione. D’altra parte non avevano motivo di dubitare, visto che già in passato la scuola si è avvalsa della competenza dei soci del Club Alpinistico Triestino, ma fa sempre piacere avere la possibilità di verificare che sì, nelle grotte oltre agli organismi troglobi vivono anche dei troflofili in quanto abbiamo “scovato” diversi ragni che con competenza linguistica Roberto ha detto di temere in quanto “aracnofobo”. Ragni adattati alla vita sotterranea ma non esclusivi di questo ambiente. Ma è stato sui reperti di animali che saltuariamente frequentano le rocce, i troglosseni, che abbiamo trovato le più eclatanti conferme alle lezioni in classe: un bell’esemplare femmina di Rana dalmatina, piena di uova, viva e vegeta è stata da noi raccolta e successivamente liberata nel vicino stagno di Carsiana, pur consapevoli che questa specie è la più indipendente dall’acqua e frequenta i boschi. Ma la povera rana doveva essere caduta nel buio del sottosuolo da così tanto tempo che ha dimostrato di gradire la luce del sole che si è affacciato a mezzogiorno, quando siamo usciti dalla Grotta Romana e di certo, a modo suo, ci ha ringraziato. Non solo la rana, ma un altro animale che era stato citato a lezione è comparso alla nostra vista. Questo però non era proprio in gran forma: si tratta del cranio ben conservato di un esemplare di capriolo, evidentemente precipitato maldestramente nella grotta già da molto tempo.

Ma torniamo al percorso sotterraneo. Superato il pozzo, un tratto ripido dalla volta bassa, pieno di sfasciumi (cioè di massi e sassi crollati da tempo immemore alla base della grotta) ci porta in una caverna spaziosa, dove la parete Sud si presenta rivestita da panneggi e colate calcitiche che scendono verso un gruppo di tozze stalagmiti. Un vano sottostante con colonne di varia grandezza vengono esplorate dai primi piccoli speleologi, che scoprono l’accesso ad un'altra caverna più piccola della precedente, ricca di concrezioni e impreziosita da un laghettino. È qui che Sergio Dolce ci racconta che il suo maestro, più di cinquant’anni fa, ha scherzato con i suoi allievi bagnandoli con l’acqua purissima dell’invaso, creando le premesse per portare Sergio, da grande, a trasmettere a noi questa passione per le grotte che lo ha accompagnato tutta la vita. Questa era stata la sua prima grotta esplorata, e così è per quasi tutti gli studenti, giovani com’era lui allora.

Ci viene spiegato che la Grotta Romana deve il suo nome al rinvenimento di alcuni oggetti di bronzo di epoca romana, avvenuta nel 1893 nel bacino d'acqua che abbiamo raggiunto; numerosi cocci romani e preistorici vennero raccolti inoltre, assieme ad ossa di animali, nello scarso terriccio nerastro della prima sala. Muniti dei caschetti, assicurati dalle corde, facilitati dalle scalette e illuminati dalle piccole torce poste sui caschetti, non ci accorgiamo del tempo che passa, e quando, dopo due ore, è il momento di tornare verso l’uscita, molti rimangono delusi: “così presto”?. Per i ragazzi è stata certo un’esperienza indimenticabile. E mentre il professor Cernogoraz spazzolava il bosco dai gustosi bruscandoli aiutato da qualche studente, il gruppo terminava la salita (per tutti risultata più facile della discesa) e tornava felicemente verso la fermata dell’autobus. Un’ultima nota: il gruppo di speleologi si è fatto carico di pulire almeno in parte la cavità portando in superficie dei tubi corrugati da elettricista, un paraurti arrugginito di una automobile, un lungo tubo marcio di una stufa, oltre ad alcuni pezzi di nylon e boccette di vetro. C’erano ancora lattine, pezzi di ferro e altre immondizie, che sono state il pretesto per discutere dell’importanza della tutela dell’ambiente, sottosuolo compreso.

Dario Gasparo

 

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