Grotte di guerra

Nell’iconografia popolare il mondo oscuro delle grotte è sempre stato visto come un luogo da temere, un ricettacolo di mostri, streghe e folletti non sempre benevoli con l’essere umano. Le numerose leggende, che formano l’ossatura del folklore speleologico, ne sono un esempio e un sintomo di ancestrali paure tramandate, spesso solo oralmente, nel corso dei secoli. Eppure, le grotte, offrirono un riparo sicuro a chi seppe vincere tali paure. Ne è esempio l’uso fatto dall’uomo preistorico che vi dimorò e ne percorse le oscure gallerie per erigerle a proprio santuario. Durante il periodo romano molte cavità vennero usate quale luogo sacro – è precisa testimonianza il culto del dio Mitra – o usate da mercanti e pastori per sostare durante il loro pellegrinare alla ricerca di mercati o durante la transumanze delle greggi. Non dobbiamo dimenticare che nell’oscurità degli ipogei si radunavano anche i primi cristiani per celebrare il loro culto e seppellire i morti.

Sul Carso triestino, nel XIV e XV secolo, le grotte divennero rifugio di popolazioni autoctone durante le invasioni turche. Per ripararsi dalle scorrerie dei turchi, attuate con lo scopo di raccogliere bottino e schiavi, edificarono all’ingresso di alcune grotte delle murature di difesa o, in certi casi, addirittura dei castelli. Passate le grandi paure, nel ‘600, venne a mancare l’uso della grotta come luogo di rifugio e ritornò ad essere popolata, nella fantasia della gente, da mostri. Nel ‘700 si ebbero i primi studi inerenti le grotte, ricerche scientifiche e umanistiche che contribuirono a formare, dalla fine del XIX secolo, una coscienza speleologica. Era nata la moderna speleologia. La grotta era vista nel suo aspetto geologico, faunistico e contenitore di ricchezze archeologiche. Agli inizi del ‘900 la conoscenza del fenomeno carsico, studiato dai più grandi geologi e speleologi del mondo, si avviava a svelare i suoi più reconditi segreti. Continuamente si scoprivano ed esploravano nuove grotte. Per conoscerle e differenziarle vennero catalogate e distinte da un numero progressivo ed inserite in un elenco: era nato il catasto speleologico. Non ancora quello attuale, perché allora ogni gruppo grotte ne aveva uno proprio. Nel 1915 divampò la guerra tra l’Italia e l’Impero asburgico, uno dei principali campi di lotta divenne il territorio carsico che comprende la Provincia di Gorizia (Carso goriziano e isontino) e quella di Trieste (Carso triestino). Le grotte furono nuovamente abitate dagli uomini; questa volta per cercare rifugio dai poderosi bombardamenti delle artiglierie. Il nascondersi sotto terra divenne il metodo più sicuro per rimanere in vita. Inizialmente l’espediente fu attuato dall’esercito austro-ungarico, il quale aveva un proprio catasto delle grotte da cui “attingere” informazioni (realizzò delle squadre di speleologi incaricati alla ricerca e all’adattamento di cavità a scopi bellici). Ben presto l’esercito italiano si rese conto dell’importanza di ricoverare negli ipogei i propri soldati, pertanto, adattarono anch’essi le cavità naturali e ne realizzarono molte di artificiali, trasformandole in ottimi ricoveri per uomini e materiali. Finita la guerra, le cavità furono abbandonate al loro destino, le strutture interne subirono l’incuria del tempo o l’asportazione delle parti metalliche ad opera dei recuperanti.

La seconda guerra mondiale

Con l’entrata in guerra dell’Italia s’intensificarono pure i servizi di protezione antiaerea per la popolazione civile. Il Ministero dell’Interno emanò, il 4 febbraio 1943, una circolare relativa alle “Norme tecniche per ricoveri antiaerei pubblici e collettivi” in cui invitava a servirsi di grotte e caverne per il ricovero della popolazione civile, in località sprovviste d’opere di protezione antiaeree. La circolare, inviata ai Prefetti, indicava i tipi di ricovero pubblici e collettivi e ne descriveva le caratteristiche ed i lavori che dovevano eseguirsi per adattarli a rifugio antiaereo. I lavori d’adattamento consistevano nella sistemazione e protezione degli ingressi, livellamento del fondo ed eliminazione dello stillicidio.

Era prevista la realizzazione dell’impianto di ventilazione, tramite l’apertura di pozzi d’areazione o l’utilizzo di quelli esistenti, questi dovevano essere muniti di scala di corda, alla marinara, che fungeva da uscita di sicurezza. Prevedeva pure l’installazione dell’impianto idrico e di quello sanitario. Non dovevano mancare delle panche per far sedere i ricoverati ed attrezzi da scavo in caso d’occlusione dell’ingresso. Nelle cavità, che potevano contenere oltre 500 persone, era previsto un punto di pronto soccorso sanitario. Nella Provincia di Trieste, queste norme, non furono quasi mai rispettate perché, i ricoveri ipogei, furono realizzati autonomamente dalla popolazione residente nelle località carsiche e non predisposti dalla Direzione della Protezione Antiaerea di Trieste.

I bombardamenti

Dopo il 10 giugno 1944 gli abitanti della città di Trieste persero la speranza di non essere mai bombardati dagli aerei anglo-americani. Non era bastata la “dimostrazione” effettuata il 20 aprile 1944 nelle immediate vicinanze della città, nell’altipiano carsico e precisamente sull’abitato d’Opicina, dove il bombardamento causò numerosi morti e feriti.

La triste realtà, già provata da tante città italiane, fece cadere tutte le illusioni. Situazione alla quale non avevano creduto gli organi preposti alla sicurezza antiaerea. L’Ufficio incaricato della Prefettura di Trieste (Comitato Provinciale Protezione Antiaerea – C.P.P.A.A.) in concerto con il Comune di Trieste aveva fatto predisporre in precedenza, come da Circolare Ministeriale, dei ricoveri antiaerei per la popolazione civile. Sebbene non del tutto sufficienti, se rapportati al numero della popolazione residente, svolsero, fino a quel momento, la loro opera di prevenzione verso gli allarmi antiaerei. Gli abitanti di Trieste credendo che non vi fosse pericolo snobbavano, al momento dell’allarme, l’obbligo di entrare nei ricoveri. Dopo il bombardamento del 10 giugno la realtà fu ben diversa, tutti ebbero bisogno di recarsi, il più presto possibile, nei ricoveri antiaerei.

 

In alcuni rioni della città e nei paesi del circondario di Trieste, non era stato preparato nessun tipo di ricovero antiaereo e questo perché, essendo zone periferiche, non erano considerate luoghi d’immediato pericolo. In città erano stati predisposti dei nuovi ricoveri pubblici antiaerei (gallerie nelle colline della città; rifugi del tipo “anticrollo” nelle scuole e negli edifici pubblici; dove c’erano dei porticati vennero eretti dei “muri paraschegge” e nelle piazze, come nei giardini pubblici, vennero realizzate delle “trincee coperte seminterrate”). Nel corso della guerra i rifugi più sicuri si rivelarono quelli scavati nelle colline (gallerie), mentre non venivano quasi più frequentati, se non come “luoghi di decenza per espletare i bisogni fisiologici”, i ricoveri in trincea coperta.

Se per Trieste la situazione stava, seppur lentamente e tra mille difficoltà, migliorando con la realizzazione di nuovi ricoveri in gallerie, nei paesi dell’altipiano carsico la situazione era ben diversa. Unica eccezione, l’abitato di Opicina dove, come vedremo, venne realizzata una galleria ricovero. Negli altri paesi il Comune non apprestò nessuna opera ipogea artificiale ma si limitò a contribuire, o ad accollarsi le spese, per la realizzazione di ricoveri in grotte e caverne naturali. Sicuramente la spesa era molto più contenuta; si parla di centinaia di migliaia di lire al posto di svariati milioni e con l’esito dei lavori più immediato. Vediamo ora quali cavità naturali vennero adattate dalla popolazione civile a ricovero antiaereo sull’altipiano carsico di pertinenza del Comune di Trieste.

Le grotte naturali utilizzate quale ricovero antiaereo nella provincia di Trieste

COMUNE DI TRIESTE

Le notizie inerenti il territorio di pertinenza del Comune di Trieste sono state tratte dal suo Archivio Generale dove sono depositati tutti gli atti e le delibere attuate, nel periodo bellico, dai Podestà che svolsero la funzione amministratrice. Una di queste e precisamente la n° 534, del 24 giugno 1944, avente per oggetto “Ricoveri in caverna a Santa Croce di Trieste e Prosecco”, a firma del Podestà Cesare Pagnini, troviamo scritto (…) in seguito a preordinati sopralluoghi di tecnici dell’Ufficio comunale Lavori Pubblici per adattare a ricoveri a. a. cavità sotterranee a Santa Croce di Trieste e a Prosecco, si è resa necessaria l’esecuzione di varii apprestamenti, sia in una grotta e in un cavernone a Santa Croce di Trieste, che nella caverna denominata “dei soldati” a Prosecco, ai limiti dell’abitato, vasta ed accogliente (…) preso atto che la spesa da deliberare per ottemperare quanto sopra specificato, comprendeva (…) opere varie, fra le quali: l’aumento della capacità, utilizzando caverne attigue; la protezione degli ingressi dalla penetrazione degli effetti del soffio; l’impianto di luce elettrica; l’allargamento delle strade di accesso ed infine la chiusura con porte delle caverne in questione (…) venne approvata la spesa di lire 105.000. 

Un altra notizia la troviamo nella delibera podestarile, n° 1129 del 30 dicembre 1944, avente per oggetto “Grotta – ricovero di Prosecco – lavori”. Veniamo a sapere che la Grotta dei Soldati in precedenza era stata usata per scopi militari. Qui troviamo deliberata la spesa di lire 4.243 per lavori di manutenzione e rifacimento della Grotta di Prosecco (REG. 86/842 VG), adattata a ricovero antiaereo dopo che la stessa era stata usata dal comando militare del luogo quale deposito di munizioni e di materiali vari. A questa grotta dovevano fare riferimento, quale ricovero antiaereo, tutti gli abitanti della zona compresi quelli residenti nell’abitato di Contovello. Quest’ultimi,  giudicandola troppo lontana per permettere un’agevole ricovero a vecchi, donne, bambini e persone ammalate, decisero di costruire un rifugio antiaereo nella Grotta presso la strada vicentina

Dopo aver iniziato il lavoro presentarono una richiesta, al Comune di Trieste, per ottenere un contributo a seguito delle spese sostenute. Queste furono quantificate in lire 50.000 quale importo da erogare, alla ditta Carlo Bani di Prosecco, per l’adattamento a ricovero antiaereo della grotta. Nella richiesta motivarono la costruzione del ricovero con il fatto che si trovavano troppo distanti da quelli di Barcola (Galleria sita nei pressi della chiesa e “trincea coperta seminterrata” scavata nel giardinetto del capolinea del tram) e da quello di Prosecco (Grotta dei Soldati). Il Comune provvide con l’assegnazione di un contributo di lire 15.000 e il Comitato di Protezione Antiaerea della Prefettura di Trieste ne autorizzò la spesa. Nella grotta, lunga circa 20 metri, era stato adattato l’ingresso con lo scavo di una trincea che, dal bordo dell’altipiano carsico, arrivava all’inizio della grotta; questi era stato murato ed il fondo livellato per permettere un’agevole permanenza della popolazione. 

Di questa grotta venne pure eseguito, a cura del Comune di Trieste, il rilievo. All’inizio di questa ricerca non si sapeva quale cavità corrispondesse al ricovero antiaereo di Contovello. Non c’era memoria storica di quest’avvenimento. Neppure la consultazione dell’archivio del Catasto regionale delle grotte dette alcun risultato, la cavità non era individuabile, tramite il disegno e il nome, tra quelle conosciute e presenti nella zona. Che si trattasse di una grotta sino ad ora sconosciuta? Muniti di queste poche indicazioni abbiamo cercato di individuare, tra quelle presenti in zona, quale poteva essere questa grotta – ricovero. Alcune testimonianze orali, raccolte tra la gente di Contovello, indicavano in una zona posta tra l’abitato di Borgo San Nazario (frazione del paese di Prosecco) ed il ciglione carsico, il luogo dove si doveva trovare questa cavità.

Dopo una breve ricerca sul territorio è stata individuata una cavità naturale già inserita, nel Catasto regionale delle grotte, con il numero 491/1225 VG – Caverna 2 sulla strada Napoleonica, chiamata pure Grotta a Sud Est di Contovello (“strada Napoleonica” è il nome usato dai triestini per indicare la “strada Vicentina”). Il rilievo non rispecchia esattamente quello realizzato dai tecnici comunali ma sono stati, comunque, individuati alcuni lavori d’adattamento eseguiti sul posto: la trincea d’acceso alla grotta e le tracce del muro d’ingresso. Per quanto concerne le due cavità, adattate a ricovero antiaereo, per gli abitanti di Santa Croce (paese sull’altipiano carsico nel comune di Trieste) il cavernone è stato individuato nella Grotta degli  Occhiali  (REG.  162/274 VG), nella quale vennero realizzate delle scalinate d’accesso in muratura, una piattaforma e una scala di legno per agevolare la discesa del pozzo. L’altra grotta indicata nella delibera è la Grotta nel paese di Santa Croce (REG. 179/310 VG) (nome locale: Peica Seginova) nella quale vennero apprestate delle opere di difesa per i suoi due ingressi.
Dopo il bombardamento di Opicina, avvenuto il 20 aprile 1944, la popolazione aveva richiesto la realizzazione di ricoveri antiaerei.

Venne incaricata una ditta di costruzioni di Poggioreale del Carso (era il nome ufficiale della località di Opicina durante il Regno d’Italia) per realizzare una galleria tra le doline denominate rispettivamente Cobec e Buri. La galleria, da costruirsi al centro del paese, doveva essere lunga 150 metri e avere una sezione di 3 x 3 metri.

Tra i vari lavori da eseguire vi era pure quello di una scalinata, posta tra i civici n° 28 e 30, che dalla strada Nazionale doveva condurre alla dolina Cobec. L’altro ingresso era posto nella proprietà Buri e si accedeva alla dolina attraverso delle stradine che attraversavano il parco dell’omonima villa.
Nel frattempo la popolazione civile si riparava, durante gli allarmi, nella galleria artificiale posta nei pressi dell’Obelisco (per concessione del locale Comando tedesco) o nella Grotta Clementina (REG.30/10 VG).

In una lettera inviata al Podestà Pagnini alcuni abitanti di Opicina si lamentavano dei problemi sorti a seguito della lentezza dei lavori per la realizzazione della galleria antiaerea, nella lettera troviamo scritto: (…) non si è provveduto a sistemare bene almeno un ricovero. Quello in costruzione è ancora lontano dall’essere ultimato (…) la popolazionsi serve in gran parte della Grotta Clementina nei pressi della via degli Alpini che, per merito di alcuni volontari, è stata adattata alla meglio allo scopo; tuttavia per poter dare affidamento di sicurezza, si dovrebbe eseguire ancora alcuni lavori di impellente necessità: anzitutto è necessario costruire un cono oppure una piramide in cemento armato sopra il foro che trovasi proprio nel bel mezzo del soffitto della grotta. Costruire in cemento armato un blocco resistente a protezione dell’entrata vecchia. Migliorare, cioè rinforzare i muri antisoffio della nuova entrata oppure costruirne uno in aggiunta e rinfrzare lo strato, troppo sottile, sopra l’entrata stessa: detti lavori hanno bisogno di essere eseguiti con la massima urgenza e con esigua spesa il Comune potrà rendere sicura la vita a un migliaio circa di suoi cittadini (…).

Pure gli abitanti di Basovizza (altro paese del comune di Trieste che si trova sull’altipiano carsico) si trovavano nella situazione di non avere ricoveri antiaerei predisposti dalle autorità: era già capitato che ci fossero dei sorvoli a bassa quota, da parte di aerei anglo – americani, seguiti da mitragliamenti a inermi abitanti intenti ai lavori nei campi.

A seguito degli allarmi aerei, segnalati dal suono delle campane della chiesa – a sua volta ricevuti tramite telefono dalla Prefettura di Trieste – la gente si recava nelle grotte più vicine, tra queste la Caverna III a Est di Basovizza (REG 1146/3461 VG), localmente chiamata Bč  e negli atti comunali Bec. Per questo motivo, venne  interessata dai lavori di adattamento al fine di fornire un adeguato ricovero antiaereo alla popolazione civile del paese. Nella delibera podestarile n° 604 del 22 luglio 1944, avente come oggetto “Ricoveri antiaerei per la popolazione di Basovizza”, troviamo scritto “(…) in seguito ad analoga richiesta del Comando militare locale germanico di Basovizza e ad un conseguente sopralluogo praticato da organi tecnici dell’Ufficio comunale Lavori Pubblici, si rende ormai necessaria ed urgente l’adattamento a ricoveri a.a. di cavità sotterranee per la popolazione civile di colà (circa 700 persone), che per tale adattamento si presta una grotta denominata BEC (DULA) [toponimo che indica la località dove si apre la grotta ndr], a circa 300 metri dall’abitato, preferibile al cavernone ODNICA, di maggiore capienza, ma più lontano, che serve all’uopo, per ora, anche allo stato naturale e che potrebbe, quindi, venire regolato appena in un secondo tempo, dopo sperimentato, come già in accordo col suddetto Comando; che i lavori da intraprendere per la grotta BEC sono: regolarizzazione della rampa di accesso, livellazione sommaria del fondo e trasporti locali di pietra per la formazione di rampe (…) I lavori sarebbero stati eseguiti “a cottimo da mano d’opera a disposizione in Basovizza stessa”. La spesa fu di lire 35.000.

Per la Caverna III a Est di Basovizza, che è stata recentemente in parte bonificata (era ostruita) ad opera di alcune associazioni locali, si spera, in un prossimo futuro, di renderla agibile al pubblico: una proposta di recupero ambientale, presentata dal Club Alpinistico Triestino, prevede infatti la realizzazione, al suo interno, di una esposizione museale. Per quanto concerne la seconda cavità (chiamata Odnica), essa è individuabile nella Grotta Bac (Reg. 54/49 VG), cavità nella quale, a detta dei locali, si rifugiava parte della popolazione durante gli allarmi aerei. Molto probabilmente, il nome Odnica è una storpiatura dello sloveno Vodnica (leggi vodniza = luogo deve si trova l’acqua) e il toponimo Vodnica è riscontrabile, sui documenti, nella località dove si apre la Grotta Bac. Questa, essendo discosta dal paese, non era molto frequentata se non dalle persone, che si trovavano nella zona, intente a pascolare il bestiame o a lavorare nei campi.

Pure nel paese di Gropada venne adattata una cavità naturale a ricovero antiaereo; di questa grotta possediamo alcune fotografie realizzate nel periodo bellico. Queste immagini, eseguite per conto del Comune di Trieste, mostrano l’ingresso e i lavori d’adattamento realizzati all’interno della cavità. La grotta è stata ostruita già negli anni 70 e si trova all’interno di una proprietà privata. Venne comunque denominata Grotta ricovero di Gropada. Questa era la situazione nel territorio del Comune di Trieste. Negli altri comuni della Provincia non erano mai stati predisposti dei ricoveri antiaerei particolari. È questo perché la Prefettura di Trieste aveva considerato, in un primo tempo, il territorio suburbano non interessato da obiettivi militari e, di conseguenza, al sicuro da ogni eventuale azione aerea. Nonostante queste rassicurazioni la popolazione dei paesi del Carso triestino, memore della guerra passata (la prima guerra mondiale) nella quale l’altopiano era stato aspro teatro di lotte con i conseguenti bombardamenti effettuati da armi a lunga gittata e dal sorvolo degli aerei italiani che lanciavano le bombe, predispose alcune cavità naturali a rifugio antiaereo.

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