La storia recuperata

mostra b24Il 30 giugno scorso si è tenuta nella Sala Conferenze “Ennio Gherlizza” del ricovero antiaereo della Seconda Guerra Mondiale Kleine Berlin di Trieste, l’inaugurazione del memoriale riguardante il velivolo e i membri dell’equipaggio del bombardiere americano B24 “Liberator” nr. 42-51642, precipitato nel Mare Adriatico al largo di Grado (Gorizia), il 28 febbraio 1945 durante una delle tante missioni di bombardamento effettuate nella Seconda Guerra Mondiale. Una missione che assieme ad altre centinaia sarebbe rimasta archiviata e dimenticata se il relitto sommerso di un velivolo, dalla sconosciuta identità, non fosse noto da tempo ai subacquei e ai pescatori locali, e se soprattutto un ricercatore italiano, Freddy Furlan, non si fosse interessato a questo relitto tentando prima l’identificazione e poi di ricostruire la sua storia e quella del suo equipaggio. Delle varie fasi di identificazione ne hanno parlato dettagliatamente proprio Freddy Furlan e il giornalista Pietro Spirito, ospiti della serata. Il B24 “Liberator” nr. 42-51642 era un velivolo quadrimotore che faceva parte di una formazione aerea che aveva il compito di bombardare il ponte ferroviario sul fiume Isarco ad Albes, in Alto Adige, presso il passo del Brennero. La linea ferroviaria era una delle vie strategiche per il rifornimento dell’esercito tedesco che si opponeva all’avanzata degli Alleati nella “Campagna d’Italia”.

Il piano della missione del 28 febbraio 1945 prevedeva di colpire ponti e stazioni di smistamento lungo la linea del Brennero, che era stata interrotta dal 3 febbraio al 25 febbraio, ma le riparazioni avevano permesso di ripristinare il traffico. Le precedenti missioni avevano classificato le difese contraeree di “intensità moderata”, “accurate” e di “grosso calibro”. Gli aerei partirono da Grottaglie, in Puglia, iniziando i decolli alle 8.46 per raggiungere l’obiettivo alle 12.45. La formazione composta da diverse squadriglie di aerei, la 716, la 717, la 718 e la 719 ciascuna a sua volta composta da 8 velivoli, ad eccezione della 719 che ne contava 9. La formazione fu intercettata dalla contraerea giudicata di intensità moderata ma estremamente precisa a tal punto che tutti gli otto velivoli della 716 squadriglia, a cui apparteneva il B24, subirono danni. Il B24 “Liberator” nr.42-51642 abbandonò la formazione con due motori in avaria, e fu avvistato l’ultima volta nelle vicinanze del lago Weissen in Austria. Il destino di questo aereo e del suo equipaggio rimasero sconosciuti fino al 2013 quando i resti  del velivolo furono identificati, grazie al lavoro di Freddy Furlan, con il relitto al largo di Grado. Tutti i componenti dell’equipaggio morirono a causa dell’impatto con l’acqua, quattro corpi vennero ritrovati tra il maggio e il luglio 1945 tra Grado e Comacchio, i resti di un corpo furono ritrovati nelle reti di una barca da pesca nel 1950 a Chioggia e le operazioni di recupero nel 2015 condotte dalla nave appoggio Grasp, della flotta USNS, identificarono, dopo il recupero e l’analisi dei resti, altri tre componenti l’equipaggio, mentre tre degli 11 componenti dell’equipaggio mantengono ancora lo status di dispersi in azione (Missing In Action). Al momento dell’impatto la coda dell’aereo era stata strappata via e la fusoliera spezzata. Nel corso delle ricerche è stato scoperto, sepolto nella sabbia a poca distanza dalla fusoliera, il piano di coda verticale, il timone, con il numero di serie dell’aereo, e proprio questo reperto è stato esposto in una galleria dedicata al memoriale di questo velivolo e del suo equipaggio, e mostrato con una breve descrizione all’assessore del Comune di Trieste Michele Lobianco, presente alla serata. Nell’allestire questa mostra si ha avuto occasione di potere reperire materiale e fotografie di alcuni dei componenti dell’equipaggio tramite l’associazione americana WWII 449th Bomb Group Association che riuniva prima i veterani degli equipaggi delle formazioni del 449° Bomb Group a cui apparteneva il B24 precipitato a Grado, e adesso riunisce i familiari ormai con gradi di parentela sempre più lontani ma con un ricordo dei scomparsi che ci ha colpito. Questa credo sia la testimonianza più significativa che nessuno è mai veramente morto finché c’è qualcuno che ne tiene vivo il ricordo e la memoria, e fa capire che al di là dei fatti, delle date, dei personaggi, la Storia è fatta soprattutto da persone che hanno dovuto subirla. LINK FOTO

 

Dean Leonardelli