Storia della speleologia subacquea

Timavo, Reka in Sloveno, il fiume del mistero. Nasce dalle pendici del monte Dletva, (gruppo del monte Nevoso), nel Carso Sloveno, percorre 55 km poi si inabissa nelle grotte di San Canziano dove, dopo 2500 metri e 25 cascate, scompare nelle viscere della terra. Una parte di esso, dopo 40 km di percorso sotterraneo sconosciuto, ricompare formando 3 sorgenti nelle vicinanze della chiesa di San Giovanni a Duino. Molti miti e leggende sono legati a questo fiume che deve il suo nome, probabilmente, ad un Nume fluviale. E proprio questo fiume ha spinto gli speleologi triestini ad andare oltre il loro ambiente naturale, le grotte, per affrontare una esperienza nuova, la speleologia subacquea, nel tentativo di svelare i misteri del grande fiume sotterraneo a tutt'oggi, per la maggior parte, ancora sconosciuto. Ma chi erano i protagonisti, come si immergevano? Con quali attrezzature? E nel resto del mondo? Come si sviluppava la speleologia Subacquea? Il più delle volte gli attori di queste esplorazioni non sono subacquei che hanno iniziato l'attività speleosub attraverso uno specifico addestramento ma erano speleologi che, con la sola spinta data dalla voglia di esplorare, da autodidatti, hanno imparato ad utilizzare attrezzature subacquee spesso modificandole o inventandone di nuove.

A Trieste la Speleologia Subacquea nasce a cavallo degli anni 40/50; i primi progetti di ricerca organizzati iniziano nel 1950. Si ricorda, in particolare, la "Operazione Corsaro" che aveva come obiettivo lo studio del percorso sotterraneo del leggendario fiume Timavo. I primi risultati ufficiali sono stati pubblicati da Maucci e Bartoli nel 1951. Nel frattempo, in Francia Cousteau effettua le prime spedizioni organizzate alle "Fontain de Vaucluse", nel 1955 incorrendo in problematiche di tipo psicologico (erano subacquei abituati alle acque libere e non speleosub) e di tipo tecnico (si ha notizia di un incidente verificatosi per presenza di monossido di carbonio nelle bombole a causa del mal utilizzo di un compressore con motore a scoppio). Non manca comunque uno scambio di informazioni, sui risultati raggiunti e le tecniche utilizzate, tra i gruppi triestini e i francesi, documentato dalla corrispondenza intercorsa. Risale al Maggio 1957 il primo record mondiale di penetrazione in grotta completamente allagata del Gruppo Ricercatori Timavo. Durante questa esplorazione Giorgio Cobol risale la prima risorgenza del fiume percorrendo sott'acqua una distanza di 144 metri. Il record sarà poi migliorato, ad opera dello stesso gruppo, il 12 Agosto 1967 quando Giorgio Cobol e Giovanni Macor, questa volta alla quarta risorgenza del Timavo, raggiungono la ragguardevole distanza di 157 metri. Degno di nota è anche il record mondiale di profondità conquistato sempre da Giorgio Cobol, nel Maggio 1967, quando alla risorgenza del Gorgazzo, toccò la profondità di 62 metri tracciando anche il primo rilievo della parte iniziale del cunicolo.

Nello stesso periodo, un altro famoso subacqueo è attratto dall'esplorazione dell'ignoto: Raimondo Bucher. Anche lui è spinto dalla volontà di rivelare il percorso di un fiume sotterraneo, il Bussento. Negli  anni  successivi  Bucher ha scoperto diverse cavità sottomarine a Capri tra cui la Grotta Azzurra, la Grotta del Respiro, la Grotta delle Ombrine, la Grotta dell'acqua dolce. Le sue esplorazioni si sono spinte poi in Sardegna, a Cala Gonone dove nel 1956 esplora con il fratello la Grotta del Bue Marino. Ad un ramo di questa, in seguito, è stato dato il suo nome. Ma la prima immersione in un cunicolo sotterraneo, seppure artificiale, risale a molti anni prima. Durante la costruzione di un tunnel ferroviario, nelle vicinanze di Londra, l'inaspettata intersezione con una grossa vena d'acqua portò all'allagamento di tutto il sistema di tunnel e pozzi. Un palombaro della Siebe Gorman, Alexander Lambert, fu incaricato di intervenire per intercettare la vena inserendo nel canale due grosse paratie di ferro. Lambert si immerse con lo scafandro da palombaro effettuando immersioni tra pozzi e cunicoli fino alla profondità di 40 metri, con tempi di permanenza che raggiunsero le 2 ore, ma non fu in grado di terminare il lavoro. Era il 1879. L'anno seguente si decise di tentare con un apparecchio innovativo ideato da Henry Fleuss. Lo stesso inventore tentò l'immersione nei cunicoli ma ne uscì poco dopo sconcertato dall'ambiente. Lambert, con lo stesso apparecchio, che oggi chiamiamo ARO, dopo innumerevoli immersioni con tempi di permanenza fino a 80 minuti (allora la tossicità dell'ossigeno era sconosciuta) concluse il lavoro. Si può quindi affermare che la prima immersione in ambiente ipogeo, artificiale, di un palombaro (vincolato alla superficie) è stata effettuata da Lambert nel 1879, mentre Fleuss, nel 1880, fece la prima immersione non vincolata dalla superficie con attrezzatura di tipo ARO.

Ma possono queste attività essere definite speleosubacquea? Dove è la parte speleologica, la ricerca esplorativa? E' proprio la ricerca esplorativa, la curiosità, che spinge gli speleologi triestini all'esplorazione subacquea. La Grotta di Trebiciano era l'unica finestra che dava accesso ai 40 km di percorso sconosciuto del fiume Reka. La curiosità di vedere dove questo fiume scompare, di seguirne il percorso, la pura essenza dell'esplorazione senza nessuno scopo scientifico, è stata la principale motivazione che ha portato questi pionieri all'avventura speleosubacquea. In questi ambienti vissero esperienze uniche, completamente nuove, impagabili, diverse dalle altre.

Andare in grotta agli inizi degli anni 50 non era come ora: i primi tentativi di attraversamento dei sifoni furono fatti con mezzi artigianali, che si rifacevano ai mezzi a disposizione dei palombari. Luciano Russo, negli anni 63/64, quando non era ancora un subacqueo, progetta una pompa a mano per fornire aria ad un uomo in immersione attraverso una manichetta, permettendo di superare un sifone di ragguardevoli dimensioni alla Grotta delle Ninfe in Val Rosandra, Trieste. La pompa aveva però un grosso limite: due persone dovevano compiere un enorme lavoro per garantire aria ad un subacqueo che si trovava a soli 4-5 metri di profondità e questo fece abbandonare il progetto.

Le origini della speleologia subacquea sono state caratterizzate dall'uso dell'ARO il cui utilizzo prosegue anche quando erano già conosciuti i sistemi a circuito aperto in quanto, viste le caratteristiche delle grotte carsiche triestine, garantiva una maggiore maneggevolezza, minor peso e più autonomia. Prima si utilizza l'apparecchio Pirelli, di derivazione militare, poi l'ARO commerciale della Cressi. Le prime cavità esplorate sono state le porte di accesso al Timavo: la Grotta di Trebiciano, il Pozzo dei Colombi, le Sorgenti del Timavo.

Alcune di queste cavità richiedevano notevoli sforzi logistici: ricordiamo per esempio che il sifone interno alla Grotta di Trebiciano si trova a 330 metri di profondità rispetto all'ingresso della grotta. Per  permettere il raggiungimento di profondità maggiori, lentamente, si è avuto il passaggio ai sistemi a circuito aperto. Ricordiamo in proposito le prime esplorazioni nelle più profonde cavità italiane:

 

 

Nei primi anni 60 viene esplorata, da parte del club Tre Mari di Vicenza, fino alla profondità di 40/50 metri, la risorgenza dell'Elefante Bianco. Durante questa immersione viene utilizzato come primo stadio un erogatore Royal Mistral. Tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 si utilizza un'attrezzatura mista: un ARO ed un bombolino di aria da utilizzare per le puntate più profonde.

Nel 1967 al Gorgazzo, è stata effettuata un immersione alla profondità di 80 metri da parte di S. Piccini W. May C. Hayes del gruppo CIGS; durante questa immersione è stata fissata una targhetta alla massima profondità. E' anche stata portata in immersione una macchina fotografica Calypso con lampade NF6N. A Giorgio Cobol scatta un'altra molla. Si era immerso nel Gorgazzo fino a - 64 metri, tracciandone il primo rilievo; da quella profondità ha calato una torcia legata ad una sagola vedendola scomparire ma la sagola continuava a scendere ancora. La risorgenza sprofondava ben oltre i 64 metri. Cobol prende la decisione di scendere oltre, ma come? Come trovare il modo di proseguire in modo sicuro? Studia da autodidatta le teorie sui gas, si documenta da ogni fonte disponibile, raccoglie dati sulle miscele. Scarta per utilizzo respiratorio l'elio, in quanto costoso, di difficile reperibilità ma anche perché considerato non biocompatibile. Si avvicina quindi alle miscele di ossigeno ed idrogeno ben conoscendo i rischi di questa composizione. Prepara e utilizza questa miscela, facendo immersioni non impegnative ma sufficienti a dimostrarne la possibilità di utilizzo. Siamo negli anni 1966-1968. La prima immersione in miscele, in Italia, condotta da speleosubacquei Italiani risale al 1987 quando, Luciano Russo e Maurizio Martini del gruppo XXX Ottobre, raggiungono la profondità di - 108 metri nella risorgenza del Gorgazzo. Attualmente l'attività speleosubacquea viene riconosciuta come l'attività più pericolosa al mondo ed è causa di numerosi incidenti spesso mortali. Questi incidenti però non si sono verificati agli albori dell'attività, quando la concorrenza fra i gruppi era spietata, quando le attrezzature erano artigianali, quando il lavoro esplorativo degli anni 50/60 era spinto ai massimi livelli. Si  sono  verificati in seguito, quando la speleosubacquea si è diffusa ed è diventata di dominio pubblico, diventando per la maggior parte una pratica "turistica".

Un primo grave incidente speleosubacqueo, che ha riscosso notevole pubblicità coinvolgendo stampa e organi istituzionali, si è verificato nel 1971 alla risorgenza dell'Elefante Bianco dove perse la vita, durante una immersione esplorativa il dott. Gaetano Starabba, di quarantadue anni, Vice Direttore della Banca Nazionale del Lavoro di Vicenza. Dopo la rinuncia del gruppo sommozzatori "istituzionali" il recupero del corpo è  stato  portato  a termine da un gruppo di volontari. A questo sono seguiti molti altri incidenti causati nella maggioranza dei casi da inesperienza o dal mancato o errato uso della sagola guida. Questi incidenti hanno portato alla chiusura, da parte dei Sindaci interessati, di molti tra i più bei sifoni e risorgenze italiani compromettendo in questo modo la continuazione delle attività esplorative che, già per i notevoli sforzi logistico organizzativi necessari, rischiano di diventare sempre più rare.

Mauro Campini, Duilio Cobol

 

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