Pozzo di Montuzza

La chiesa e il convento
 dei padri cappuccini a Montuzza (Trieste)

chiesa montuzza oggiLa presenza dei primi padri cappuccini a Trieste risale all’anno 1617 quando, chiamati dal Consiglio della città di Trieste, edificarono un convento fuori dalla Porta di Cavana nei pressi di piazza Lipsia (oggi piazza Hortis). La chiesa del convento venne intitolata al martire triestino S. Apollinare Suddiacono e fu consacrata dal Vescovo di Trieste Ursino de Bertis. Il convento che ospitava trenta confratelli apparteneva alla Provincia della Stiria. I padri cappuccini erano assidui nella predicazione, nella confessione e nell’assistenza agli infermi.

Ogni giorno festivo presso la chiesa del convento veniva celebrata una messa con predica, in lingua italiana, mentre presso la chiesa di S. Bernardino degli Ospitalieri la predica era detta in lingua tedesca e nella chiesa della Madonna del Mare in lingua slovena e ciò per andare incontro alle esigenze di tutta la popolazione cattolica di Trieste. Oltre a queste tre lingue ascoltavano la confessione in spagnolo e francese. Presso il convento era a disposizione degli studiosi una biblioteca fornita di opere scelte.

I frati, per il loro sostentamento quotidiano, praticavano la questua presso i fedeli, erano poi sostenuti dall’amministrazione comunale tramite un sussidio annuo mentre l’imperatore austriaco forniva la legna per il fuoco e il tabacco. Le suore benedettine del convento di S. Cipriano consegnavano settimanalmente del vino bianco e un canestro di pane. Un congruo aiuto veniva dato dalla comunità tedesca di Trieste che elargiva una regolare retribuzione per le prediche che i frati tenevano presso la chiesa di S. Bernardino.

Era usanza, ieri come oggi, di condividere il cibo con i poveri che si presentavano presso il convento e, per il loro amorevole e caritatevole comportamento verso la gente, i frati erano molto amati dalla popolazione triestina.
Nel 1785, a seguito della riforma voluta da Giuseppe II, il convento dei padri cappuccini di Trieste venne soppresso. Nonostante le proteste della popolazione, che arrivò al punto di voler costruire a proprie spese un nuovo convento, i frati furono costretti a lasciare la città.

Narrano le cronache dell’epoca che i triestini li accompagnarono per lungo tratto in un mesto corteo sino alla partenza per i vari conventi della Stiria. La chiesa, il modesto convento e la biblioteca vennero messi all’incanto e sul luogo sacro sorse un grande palazzo. Ora di questa chiesa e del convento non rimane traccia se non nel pozzo - cisterna di piazza Hortis, già a suo tempo esplorato dal CAT (v. Tuttocat n.u. dicembre 2000 - Trieste 2001 - pagg. 6 - 11), e che si trova sotto il busto di Attilio Hortis, al centro del giardinetto.

A Trieste, nel 1836, si costituì un comitato di cittadini che iniziò una raccolta di fondi per erigere un nuovo convento e riportare i padri cappuccini a Trieste. In quel periodo ci fu una epidemia di colera e i fondi raccolti furono distratti a favore degli orfani e degli indigenti colpiti dal morbo. La venerazione che i triestini continuavano ad avere per i frati era tale che ogni qualvolta un padre cappuccino capitava in città trovava sempre ospitalità nelle loro case.

Il ritorno dei padri cappuccini a Trieste

chiesa montuzza vecchiaDopo i fatti del 1848 e la salita al trono d’Austria di Francesco Giuseppe I furono emanate delle leggi a favore della chiesa e nei triestini rinacque la speranza di poter nuovamente ospitare in città i padri cappuccini. Il vescovo tergestino Bartolomeo Legat, che guardava con benevolenza all’ordine francescano, propose al Comune di richiamare in città i frati per affidare la cura spirituale (e materiale) delle persone ricoverate in ospedale.

Nel marzo del 1855 i padri cappuccini ritornarono a Trieste e iniziarono la loro missione presso il civico ospedale. Per il loro sostentamento il municipio assegnò un congruo mantenimento per ripagarli dell’opera caritatevole a favore degli ammalati. Nel 1858 il vescovo di Trieste emanò una pastorale in cui sottolineava l’opera benemerita dei padri cappuccini, che pure sopperivano alla mancanza del clero secolare, invitando i parrocchiani a elargire offerte per edificare una chiesa con annesso convento per i frati.

Il Comune di Trieste stanziò la somma di 12.000 fiorini e l’esempio fu subito seguito dalla maggior parte delle istituzioni e delle aziende commerciali cittadine (all’epoca concorsero con 2.000 fiorini la Deputazione di Borsa, il Lloyd Austriaco, la Camera di Commercio, le varie assicurazioni, ecc.). Anche parte dei cittadini benestanti cattolici di Trieste parteciparono alla raccolta dei fondi. Tutte queste elargizioni furono segnate in un apposito “Album dei Benefattori” e, alcuni anni dopo, verrà affissa una lapide marmorea sulla facciata della chiesa con incisi i nomi dei benefattori. Non solamente la comunità cattolica partecipò alla raccolta dei fondi ma vi aderirono pure la Comunità Israelitica, quella Evangelista e la Greca. La donazione più importante fu quella dell’Imperatore Francesco Giuseppe I che assegnò una campagna dal “Fondo di Religione sito in via Pondares sopra un’altura denominata Montuzza”, e elargì pure un congruo contributo. Tutta la famiglia reale contribuì alla raccolta dei fondi per l’erigendo convento. Il Comune concedeva quindi un appezzamento di terreno per erigere la chiesa in un punto più accessibile e tracciandovi un abbozzo di strada che però mancava ancora di illuminazione e non era transitabile alle carrozze.

chiesa montuzzaIl 22 novembre 1857 il vescovo di Trieste benediva la prima pietra del Sacro Tempio dedicato a S. Apollinare Suddiacono e dell’erigendo convento dei cappuccini. Architetto della “fabbrica della chiesa e del convento” era il frate Francesco Maria da Vicenza Architetto Cappuccino. Per erigere la chiesa fu necessario spianare buona parte del colle e scavare delle profonde fondamenta, come scrissero all’epoca, “per rendere robusto e saldo all’impeto del vento, che vi domina con una forza straordinaria”.

Inizialmente, per paura di mancanza dei mezzi finanziari, fu data priorità alla costruzione della parte superiore della chiesa. Dopo aver eretto il Presbiterio, il coro che ospitava i frati e altri locali accessori, il giorno 5 giugno 1859 venne aperto al culto l’altare maggiore. Per l’occasione venne indetta una nuova colletta (promotore principale il barone Pasquale Revoltella), tendente ad acquisire nuovi capitali per erigere le cappelle laterali e l’atrio esterno. Nel settembre 1866 scoppiò a Trieste il colera e l’opera meritoria dei frati cappuccini, che assistevano i malati del morbo, fu una delle più esemplari. Nel lazzaretto in Rena vecchia, approntato dal Comune ma dipendente dall’Ospedale, un frate cappuccino dedito all’assistenza ai malati vi rimase per ben 36 giorni continuati (per tutto il periodo della “quarantena” a cui erano obbligati i malati infettivi).

L’opera meritoria condotta dai triestini per l’erigenda “fabbrica di Montuzza” fu molto apprezzata dal cardinale Giuseppe Milesi Protettore dell’Ordine dei Cappuccini che inviò una lettera al Santo Padre, Pio IX, per elogiare tanta carità cristiana. Il Papa inviò al Vescovo di Trieste un quadretto in avorio, argento e pietre preziose rappresentante il Nazareno e dodici medaglie d’argento da consegnare ai benemeriti elargitori. Tra i tanti, va ricordata la signora Maria vedova Kalister che da sola si prese l’onere di far eseguire l’ampia volta della navata maggiore e il Barone Pasquale Revoltella che nel testamento elargì 10.000 fiorini con il solo obbligo di dire una messa il giorno dell’anniversario della sua scomparsa. Nel 1857 ci fu la benedizione della prima pietra; nel 1859 quella dell’altare maggiore e il 23 ottobre 1870 la solenne consacrazione di tutta la chiesa. Ancora oggi sebbene ridotti di numero i frati cappuccini sono sempre presenti nel manifestare l’amore per il prossimo condividendo nella loro mensa il pane con i poveri e i bisognosi.

Lo svuotamento del pozzo nel “giardino dei semplici”

pozzo montuzzaLo scavo delle fondamenta della chiesa hanno intaccato negli strati più profondi delle vene d’acqua - che sul colle è abbondantemente presente - e, trasudando attraverso i muri della costruzione, hanno reso umide varie zone della chiesa. Per eliminare tale inconveniente è in corso da parte dello Studio Pinzani un’indagine geo-morfologica del colle di Montuzza, avente lo scopo individuarne le cause e trovare possibili soluzioni al problema. Il CAT è stato contattato dalla ditta appaltatrice per effettuare una ricognizione nel pozzo del giardino dei semplici (così viene chiamato l’orto dei frati annesso ai conventi dove vengono coltivate le piante officinali) con l’intento di stabilire l’eventuale giacitura degli strati del terreno che si sarebbe trovata nella parte più profonda della struttura.

 

L’esplorazione
 del pozzo - cisterna

moreno e LauriIl pozzo risulta profondo, a un primo esame effettuato con una sonda, - 28,50 m, e il battente dell’acqua si trovava a - 4,50 m dal bordo del pozzo al momento dell'intervento. Si è reso necessario il preventivo svuotamento del pozzo che ha impegnato la squadra del CAT (composta da: Remigio Bernardis, Duilio Cobol, Franco Gherlizza, Ernesto Giurgevich, Franco Gleria, Gianfranco Manià, Ferruccio Podgornik, Moreno Tommasini e Sergio Vianello) per ben due giornate lavorative.

La struttura del pozzo, davvero notevole dal punto di vista architettonico, è stata eseguita con conci di arenaria che lo incamiciano sino al contatto con la base di roccia non mettendo così in evidenza nessuna stratificazione. Tale situazione è stata verificata da Moreno Tommasini che ha assistito nella ricognizione interna il geometra Giulio Lauri dello Studio Pinzani.

Durante l’esplorazione si è potuto constatare che il riempimento del pozzo cisterna avviene attraverso dei modesti apporti idrici laterali (molto probabilmente provenienti da un troppo pieno di un altro pozzo presente sotto l’attuale campo di calcio di Montuzza situato in una quota altimetrica più alta). Questi modesti apporti idrici sono supportati da uno principale che si trova alla base dell’ipogeo ed è acqua di risorgiva.

Maurizio Radacich

 

FOTO GALLERY

 

L'articolo è tratto da TuttoCat 2011